"Il signoraggio è un metodo con cui il sistema perpetua sé stesso e deruba i cittadini, incolpandoli nel contempo di ogni nefandezza."
"L'economia è una scienza semplice, ma presentata con un linguaggio complesso".
Il signoraggio è il provento che, nei secoli passati, gli stati ricavavano dalla coniazione, attribuendo alle monete, sia di propria iniziativa sia su richiesta dei privati, un potere d'acquisto superiore a quello del metallo in esse contenuto: i prìncipi innalzavano il signoraggio nei tempi calamitosi di strettezze finanziarie allo scopo di procacciarsi una qualche momentanea entrata (Einaudi). Oggi per signoraggio si intende la differenza tra il valore nominale della banconota (la cifra indicata) ed il valore reale: tale discrepanza viene introitata dalle banche centrali ed ascritta a debito della collettività.
Nell'antichità, quando la base monetaria consisteva di monete in metallo prezioso, chiunque disponesse di oro, elettro o argento, poteva portarlo presso la zecca di stato, dove veniva trasformato in monete con l'effigie del re. I diritti spettanti alla zecca ed al sovrano erano riscossi, trattenendo una parte del metallo prezioso. Il signoraggio, in tale contesto, è dunque l'imposta sulla coniazione, nota anche come diritto di zecca. Il valore nominale della moneta ed il valore intrinseco non coincidevano, a causa del signoraggio e dei costi di produzione delle monete. L'imposta sulla coniazione serviva poi a finanziare la spesa pubblica. Nel caso in cui lo stato possiede miniere di metallo prezioso, il signoraggio combacia con la differenza tra il valore nominale delle monete coniate ed i costi per estrarre il metallo e battere le monete. Già con i Romani, da Settimio Severo (193-211 d.C.)in poi, il metodo si consolidò: Settimio Severo dimezzò la quantità di argento contenuto nel denarius, mentre lasciò invariato il valore nominale, Caracalla (198-217 d.C.) coniò una moneta d'argento, l'antoniniano, del valore di due denarii: fu un deprezzamento camuffato. Tuttavia la più colossale svalutazione della moneta romana fu operata da Gordiano III (238-244 d.C.).
Tra il IX ed il XIII sec. d.C., il sistema monetario europeo fu relativamente semplice, basato sul sistema della libbra e dei suoi sottomultipli, introdotto da Carlo Magno. In età feudale, i vassalli godevano di poteri definiti immunità: banno, amministrazione della giustizia civile e penale, diritto di battere moneta. Da quest'ultimo diritto i signori ricavavano una quota delle risorse necessarie per gestire il feudo. Con la caduta di Costantinopoli (1453), le signorie europee, a partire da Genova e Firenze, cominciarono a battere moneta per conto proprio. Essendo in circolazione tanti diversi tipi di moneta, con diverse denominazioni, coniate con differenti metalli (oro, argento, rame) e con diversi livelli di purezza, si pose il problema giuridico se il monarca potesse imporre una gabella di signoraggio sulla produzione delle monete. La scuola giuridica dei canonisti elaborò un orientamento favorevole; quella dei romanisti sostenne che il signoraggio sarebbe dovuto essere nullo.
Con la rivoluzione industriale e, nel XX secolo, con la Conferenza di Bretton Woods (1944), si assistette al graduale abbandono dei sistemi fondati sui metalli preziosi e sulla convertibilità delle monete in oro ed argento. L'affermazione di talune divise, sempre più diffuse ed accettate negli scambi internazionali, portò all'abbandono dei metalli preziosi per regolare gli scambi e per tutte le transazioni. Infine la diffusione del biglietto di banca e di altre forme di pagamento, spesso di origine tardo-medievale (cambiale, assegno etc.), condusse all'attuale regime, contrassegnato dalla non convertibilità, dalla riserva frazionaria e dalla speculazione.
Oggi nei paesi dell'area euro, il reddito da signoraggio è incassato dai governi dei paesi membri per il conio delle monete metalliche e dalla Banca centrale europea, che è privata, per le banconote che essa stampa in condizioni di monopolio. Tali redditi sono poi ridistribuiti dalla B.C.E. alle varie banche centrali nazionali (private), in ragione della rispettiva quota di partecipazione (per la Banca d'Italia è il 12,5%).
I singoli governi incamerano direttamente il reddito derivante dal diritto di emettere monete metalliche, dal quale devono sottrarre i costi per produrle. Si tratta tuttavia di un ricavo molto modesto. Mentre la creazione e l'emissione monetaria sono gestite dalla Banca Centrale ed avviene con contropartita di obbligazioni statali collocate sul mercato, la semplice creazione della moneta scritturale (signoraggio secondario) è facoltà di tutto il sistema creditizio.
Laddove, come si è spiegato, nel caso delle monete, il reddito consiste nel gap tra il valore nominale delle stesse ed il costo per produrle, nel caso dell'emissione di banconote, l'utile consiste, oltre che nel divario fra i due valori, negli interessi maturati sui titoli acquistati dagli investitori a fronte dei capitali prestati alle nazioni. Infatti la banca centrale stampa banconote pari ad un controvalore tot (ad esempio, un miliardo di euro): lo stato, privo di sovranità monetaria, riceve la somma, ma, attraverso i contribuenti, deve restituirla gravata degli interessi. Per rimborsare il capitale con gli interessi, lo stato emette titoli di debito (B.O.T., C.C.T., B.T.P. etc.) con i quali raccoglie liquidità di cui si appropriano in gran parte gli istituti di credito centrali. Il resto è destinato alle spese militari, in primis la Geoingegneria, ed al mantenimento delle classi dirigenti (politici, funzionari, burocrati...) che da tale prassi traggono immensi benefici. Si crea così una spirale di debito abnorme, con gli stati (i cittadini) che diventano insolventi: gli esecutivi, per versare gli interessi, inaspriscono in maniera spaventosa la pressione fiscale e decurtano le comunque non cospicue spese per i servizi (istruzione, sanità, sistema previdenziale). Da ciò dipendono l'iperinflazione e la stagnazione economica, giacché i paesi precipitano in una condizione di insolvibilità, preludio della bancarotta.
Il signoraggio è dunque innanzitutto una delle fonti con cui un governo finanzia la propria spesa pubblica, eccedente rispetto alla raccolta di tributi. L'abitudine, per opera dei governi, di finanziare il deficit pubblico, aumentando le entrate da signoraggio è il presupposto del crollo economico, finanziario e sociale. Il caso storico più clamoroso è il terribile vortice iperinflattivo in cui fu risucchiata la Germania nel primo dopoguerra (Repubblica di Weimar): il conseguente collasso economico fu il prodromo dell'ascesa al potere di Adolf Hitler (Terzo Reich 1933-1945). Nella prefazione al classico testo di Costantino Bresciani-Turroni sulle vicende del marco tedesco, Lionel Robbins osserva che "il deprezzamento del marco avvenuto tra il 1914 e il 1923 [...] distrusse la ricchezza degli elementi più solidi della società tedesca e si lasciò dietro uno squilibrio morale ed economico, atto a preparare il terreno per i disastri che seguirono. Hitler è il figlioccio dell'inflazione".
Fonti: Enciclopedia dell'Economia, Enciclopedia Treccani, s.v. inerenti
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