La Turchia e le rotte energetiche dal Caucaso 03 (di Enrico Satta)
Leggo allora anche di un viaggio del ministro europeo per gli Affari Esteri Solana che in queste zone, tutte repubbliche ex sovietiche sul Mar Caspio ha il compito di convincere i governi di Turkmenistan, Kazakhstan e Kirghizistan a costruire gasdotti alternativi alle infrastrutture in uso ed evitare che il trasporto terreno delle risorse in Europa sia solo di derivazione russa. E i soli itinerari possibili per portare gas e petrolio in occidente dai giacimenti caucasici attraversano il territorio georgiano e turco.
Gli scenari di geopolitica che si aprono in connessione a queste nuove rotte energetiche che bypassano la Russia e l’Iran fanno affidamento sul petrolio che proviene da tre bacini:il Tengiz e il Karachaganak (in Kazakhstan) e l’Azeri Chirag Gunashli in Azerbaijan.
Dal 2014, inoltre, un gruppo di major tra cui l’Eni (che fino a pochi anni fa’ ne era l’unico affidatario), potrà iniziare lo sfruttamento del più grande giacimento petrolifero scoperto nel mondo negli ultimi 30 anni e cioè la grande area petrolifera denominata Kashagan nel Kazakhstan con una produzione stimata di 450.000 barili al giorno di petrolio. Per effetto di un contratto poi modificato dallo stesso governo kazaco e si può immaginare perché.. oggi l’ENI non è più la sola ad avere le concessioni per tale sfruttamento. D’altronde è evidente che in quest’area si polarizza l’interesse dei consorzi anglo-americani, si tratta infatti di giacimenti in paesi di area non–Opec e gli accordi stipulati permetteranno, forse, di contrastare il peso mediorientale sul prezzo del petrolio e di ridurre il peso russo.
Gli oleodotti indirizzati verso occidente attualmente in funzione sono per lo più su quattro principali corridoi. Due di questi attraversano il territorio russo, scontando un legame strutturale che risale ai tempi sovietici: il primo di vecchia data si dirige verso nord, congiunge il campo di Karachaganak a Samara in Russia e di qui fino al Baltico. L’altro, più nuovo è lungo 1,580 km – il Caspian Pipeline Consortium Pipeline o CPC-; parte dal campo di Tengiz e costeggia il Caspio a nord e poi entra in territorio russo fino al porto di Novorossisky sul mar Nero.
La volontà americana di sottrarre i paesi alleati all’egemonia petrolifera dei paesi arabi e della Russia si evince anche dal percorso stabilito per portare il petrolio dal Mar Caspio in India. Uno sguardo anche superficiale delle carte geografiche mostra che il percorso ideale passerebbe per l’Afghanistan e poi in Pakistan e invece il petrolio arriva in India via Turchia. Da Ceyhan le petroliere fanno rotta per il porto israeliano di Ashkelon dove il petrolio viene immesso nell’oleodotto diretto ad Eilat sul Mar Rosso da dove, infine, le petroliere fanno rotta per l’India.
Nell’area caucasica è forte anche la produzione del gas naturale. Finora i maggiori esportatori di gas nell’area sono stati Turkmenistan e Uzbekistan, ma con il maggiore sfruttamento dei giacimenti di Azerbaijan (Shah Deniz) e Kazakhstan (Tengiz, Karachaganak e Kashagan) questi due paesi assumeranno un ruolo di sempre maggior rilievo come esportatori.
Il principale gasdotto è il South Caucasus Pipeline (SCP anche denominato Baku-T’blisi-Erzurum, PTE o Shah-Deniz), utilizzato per lo più per le esportazioni dell’Azerbaijan, dal giacimento di Shah Deniz alla città turca di Erzurum. Marcia parallelo all’oleodotto BTC, ma in territorio turco dovrebbe sdoppiarsi con un ramo (Progetto Nabucco) sponsorizzato dall’UE con l’intento di diversificare gli approvvigionamenti energetici per aree e per tipologia. Non ha caso l’UE è dal 2003 che si interessa e finanzia il progetto Nabucco che dovrebbe connettere direttamente i fornitori di gas naturale della regione del Caspio e del Medio Oriente con l’Unione Europea, la Turchia e la Georgia. L’attuale tragitto punta infatti verso l’Europa Centrale ma un ramo, la direttrice Poseidone – corridoio – ITGI si snoda attraversando la Grecia per l’Italia per terminare a Brindisi. Non è lì che vogliono posizionare anche un rigassificatore?
Per l’occidente la garanzia di sfruttamento dei giacimenti di petrolio e gas dell’area caucasica è quindi irrinunciabile e i percorsi ideali devono passare per il territorio turco.
Alternativo o comunque concorrenziale al progetto Nabucco è il South Stream, frutto di un accordo politico che la stampa attribuisce al governo di Berlusconi e a Putin l’inizio dei lavori sono previsti per la fine del 2012. Il South Stream convoglierà il gas dagli Urali in un tracciato per la parte submarina che percorre il Mar Nero concordato con il governo Turco, per poi approdare in Bulgaria e percorrere i Balcani fino a Trieste dove si sdoppierebbe con un ramo diretto a Vienna.
Le stime dei colossi petroliferi, parlano di un aumento del 40% della domanda di energia nel 2030 rispetto il 2005 e controllare l’area caucasica e corridoi energetici sicuri significa disporre del 20% delle risorse di idrocarburi mondiali. Secondo molti analisti il tentativo di Saddam Hussein di fare un cartello antiamericano e tagliarli fuori dal libero approvvigionamento fu la probabile causa dell’occupazione dell’Iraq.
Lasciare in altre mani i giacimenti caucasici significherebbe ridurre l’autonomia energetica dell’occidente e dipendere, per buona parte, dalle scelte russe già significative per il corridoio energetico North Stream. Significherebbe dovere subordinare le politiche di sviluppo infrastrutturali europee alle fonti energetiche di Mosca.
D’altronde, per mantenere gli impegni presi nel 2009 al G8 dell’Aquila e al G20 di Pittsburgh per contenere sotto i 2C° (4-5C° nel Mediterraneo) l’incremento di temperatura media globale (global warming) entro il 2100, bisognerebbe diminuire dell’80% entro il 2040 l’uso delle energie fossili. Si già che questo obiettivo è impossibile, non fosse per altro che in India 800 milioni di persone oggi non hanno accesso all’elettricità e il governo lavora per dargliela e in Cina circa 700 milioni di cinesi hanno un reddito pro capite medio di circa 1$ al giorno che il governo cinese pensa di innalzare a 10$ nel prossimo decennio. Per fare questo bisognerà consumare energia.
I tavoli veri sul clima sono quindi tra Stati Uniti, Cina, Brasile ed India.
Garantirsi l’autonomia energetica nei prossimi decenni sarà fondamentale. Le così dette energie rinnovabili o meglio “derivate” rappresentano poca cosa anche negli scenari futuri. Le tecnologie per il fotovoltaico spendono petrolio e non sono ancora competitive nei costi e necessitano di forti incentivi statali. In momenti di crisi economica si usano i combustibili fossili che presentano minor costo .
Volendo rapportarsi alla situazione italiana, la più grande realizzazione per il fotovoltaico (campo di Montalto di Castro della Sun Power ) operativa dal 2010 sviluppa una potenza a pieno regime di 85MW. Il rapporto con la centrale termoelettrica a poca distanza di Civitavecchia è improponibile, sviluppa 1980 MW.