di Michele Marsonet. La consapevolezza che l’Unione Europea – così com’è oggi strutturata – serve a poco, si sta diffondendo a macchia d’olio. Prima ne parlavano ad alta voce soltanto i partiti o movimenti detti “anti-europeisti”, sia di destra che di sinistra. Ma nel frattempo, nelle formazioni politiche più tradizionali, tutte nominalmente fedeli ai dettami della Commissione, si dicevano più o meno le stesse cose. Anche se sottovoce, per non farsi troppo notare dall’onnipotente – e costosissima – burocrazia di Bruxelles.
Nel mentre, tutti hanno finalmente compreso che il potere della succitata burocrazia è sì forte, ma non autonomo. La Germania ha fatto intendere con crescente intensità agli altri partner di considerare del tutto legittima l’egemonia che esercita de facto da parecchio tempo. Angela Merkel può anche non piacere, per usare un eufemismo. Tuttavia occorre riconoscerle un’abilità politica notevole. Gli italiani, ad esempio, non la sopportano, ma alcuni sondaggi rivelano che vorrebbero avere alla testa del loro governo una persona dotata di simile capacità.
A questo punto la domanda è la seguente. Può davvero la “rivolta” elettorale greca scompaginare il quadro e introdurre sostanziali cambiamenti nel modo finora prevalente di pensare l’Unione? E Alexis Tsipras può sul serio dare corso alla minaccia di abbandonare l’euro reintroducendo la moneta nazionale?
Una risposta chiara e convincente non è disponibile. I tecnici non hanno mai chiarito quali sarebbero le reali conseguenze dell’uscita di uno o più Paesi dall’eurozona. I pessimisti prevedono una catastrofe che coinvolgerebbe in primo luogo le nazioni più indebitate (tra cui ovviamente l’Italia), e in un secondo momento l’intera UE con ricadute a cascata. Altri non vedono così nero affermando che un evento di quel tipo non produrrebbe effetti tanto devastanti.
E’ chiaro che Syriza, con il piccolo partito di destra alleato, sta giocando ogni carta disponibile per evitare un possibile default nazionale. E tra le carte il giovane leader greco ha pure inserito la minaccia di chiedere alla Germania il rimborso dei danni causati dall’occupazione nazista nella seconda guerra mondiale. E qui l’entusiasmo di molti nostri connazionali è poco comprensibile.
Si dimentica che l’Italia fascista era stretta alleata della Germania di Hitler, e che furono proprio gli italiani ad attaccare la Grecia, facendo peraltro una pessima figura dal punto di vista militare. Tant’è vero che i tedeschi intervennero per “aiutarci” riuscendo a conquistare il Paese in poche settimane, mentre le nostre truppe vennero addirittura respinte in Albania (allora parte dell’impero italiano).
Però attenzione. I greci potrebbero chiedere dei danni anche a noi. L’occupazione italiana della Grecia e, soprattutto, della Jugoslavia, non fu affatto indolore come recita il mito degli “italiani brava gente”. Ne sanno qualcosa, com’è noto, anche gli etiopi. Certo non c’è confronto tra la durezza italica e quella tedesca. Però, insomma, del tutto innocenti gli italiani non furono affatto.
In realtà Germania (e Italia) hanno già pagato danni di guerra alle nazioni invase e occupate. Particolarmente consistenti quelli tedeschi alla ex Unione Sovietica. Tirare di nuovo fuori il problema proprio ora appare una mossa retorica più che un’opzione seria.
In realtà occorre ripensare il trattato di Maastricht, vera origine degli attuali problemi. Trattato che, tra l’altro, non ha mai ricevuto una vera investitura popolare. Come in tanti altri casi, le decisioni vennero assunte in circoli molto ristretti e senza coinvolgere direttamente i cittadini europei.
Ciò non significa sminuire le responsabilità greche, italiane e di altri per l’eccessivo indebitamento, bensì riconoscere che anche la Germania – vivendo soprattutto di export – subirebbe danni rilevanti proseguendo sulla linea sin qui seguita. E qualcuno dovrebbe anche continuare a rammentare a Berlino che ai costi enormi della riunificazione delle due Germanie diedero un sostanzioso contributo gli altri partner UE.
Featured image, Yanis Varoufakis.