Esiste una robusta tradizione di “storie di provincia” dislocate nel corso del tempo in buona parte delle regioni italiane. Se oggi i libri di Andrea Vitali, che racconta il piccolo mondo di Bellano sul lago di Como, riscuotono tanto favore presso il pubblico, negli anni ’60 e ’70 del secolo scorso era Piero Chiara a conquistare migliaia di lettori descrivendo vizi e virtù dei borghi affacciati sul lago Maggiore, mentre prima ancora Giovanni Guareschi aveva raggiunto la celebrità con la serie di romanzi e racconti poi unificati sotto l’emblematico titolo Mondo piccolo. I suoi protagonisti Don Camillo e Peppone, parroco e sindaco di un piccolo paese sulle rive del Po, sono stati poi resi immortali dalle magistrali interpretazioni degli attori Fernandel e Gino Cervi in una serie di film divenuti famosissimi.
E cosa sarebbero i romanzi di Camilleri senza le immagini della provincia siciliana che fanno da sfondo alle imprese del commissario Montalbano?
Patrizia Bartoli con la sua raccolta intitolata La venditrice di piccole cose e altri racconti si collega a questa illustre tradizione di scrittori “provinciali”, descrivendoci luoghi e persone della valle del Serchio, zona appenninica al confine tra il lucchese e il modenese.
Figure particolari, per lo più femminili, emergono a fatica da un mondo che ci appare davvero molto piccolo, e che grazie a qualche dettaglio secondario possiamo collocare negli anni ’50, o tutt’al più ’60, del ventesimo secolo, ma che in realtà appare spesso senza tempo.
Si tratta quasi sempre di donne che, oltre ad abitare in appartati luoghi di provincia, al tempo in cui non potevano essere ancora toccati dall’ampia circolazione d’idee creata, nel bene e nel male, prima dalla televisione e poi da Internet, subiscono un’ulteriore riduzione del mondo in cui si muovono: o per imposizione da parte di altri, come nel caso della Signora Parrini, oppure per scelta propria, come le protagoniste di Lo specchio e La fotografia, si ritrovano a vivere in situazioni claustrofobiche, al limite della reclusione.
In ambiti così limitati anche un avvenimento minimo, come l’arrivo di una lettera o di una telefonata, che in altre situazioni potrebbe apparire del tutto insignificante, sembra irrompere con una forza spropositata, rischiando di sconvolgere queste esistenze già in precedenza ridotte ai minimi termini.
Il linguaggio è curato, come ci si può aspettare da un’ex insegnante di materie letterarie com’è Patrizia Bartoli, sia pure con qualche espressione un po’ antiquata che però, in fin dei conti, non stona nel contesto delle storie.
Quello che in definitiva lascia un po’ perplessi è il modo piuttosto brusco con cui si chiudono quasi tutti i racconti, lasciando spesso spiazzato il lettore che si era abituato a un preciso ritmo narrativo e di certo desiderava sapere qualcosa di più riguardo a un finale della vicenda che gli viene perfidamente negato.
A volte, come in Un’esile ombra e Lo spaventapasseri, la vicenda sfuma in una dimensione che rimane incerta tra sogno e realtà, rimettendo così in discussione tutto quanto è stato letto fino a quel momento. Altri racconti si chiudono invece in un modo decisamente spiccio, se non deludente, come se l’autrice avesse esaurito di colpo la sua vena narrativa, o magari preferisse lasciare al lettore il compito d’immaginarsi da solo il possibile destino dei personaggi che ci ha presentato così garbatamente fino a poche righe prima.
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