E' un dovere e un piacere iniziare a parlare di Cuba iniziando dalla sua gente. I cubani fanno la ricchezza e la bellezza di Cuba, non certo i luoghi o la loro storia che pure hanno un grande fascino. Figli di una semplicità che - sebbene il turismo ora la mistifichi - da noi latita dagli anni in cui uscivamo dall'ultima guerra, la gente di Cuba è unica e inimitabile. E' una semplicità che si nota e respira in ogni momento della giornata, nella casa particular in cui spesso non si è clienti paganti ma parenti acquisiti per qualche ora o qualche giorno, per le strade in cui tutti salutano ancora tutti e nella curiosità - non invidia, questo mi sento di assicurarlo - che l'essere occidentali suscita in ogni persona che siede vicino in spiaggia, sulla gua-gua, al centro cultural, nelle code. In una parola, Cuba è contatto umano, è sorriso, è leggerezza nel dare, è calore. A Cuba sono tornato ad essere una persona. Tutti lo sono, non importa quale lavoro facciano o quanto importanti siano a casa.
Possiamo discutere per anni su quanto il dollaro influisca su questo comportamento e quanto invece rimane dell'animo semplice originario, su quanto merito abbia la rivoluzione e quanto demerito, su quanto siano squallidi gli spettacoli offerti da turisti e jineteri, ma la gente di Cuba rimane lo stesso inarrivabile, e ancora di più lo è lontano dai luoghi turistici. La gente comune che sempre ti saluta e ti chiede qualcosa, le vecchie macchine americane piene di rattoppi, i ragazzi con la divisa della scuola, la musica suonata a tutte le ore in modo mirabile in parecchi locali, le architetture coloniali, l'assoluta mancanza di cartelli pubblicitari ed insegne ed anche, perchè no, l'insistenza dei cubani nel volere fare affari, tutto ha contribuito a fornare un viaggio vero. La vera Cuba è qualcosa cui tutti dovrebbero prima o poi accostarsi.
La capitale è splendida, tale e quale l'avevo immaginata. Bella in centro, nel Vedado, la zona turistica dei grandi alberghi, e bella nei sobborghi dove si mangia per strada con pochi pesos, si balla quasi ovunque e si viene continuamente in contatto con personaggi assai caratteristici. Bella nelle vie più fatiscenti dove la gente abita case al limite del crollo, fa code spaventose nei negozi statali dove ci sono i prodotti di prima necessità garantiti dalla libreta, spesso desolatamente vuoti, perché qui più che altrove ho visto uomini e donne e bambini allegri e vivaci, con una incontenibile voglia di comunicare. E bella soprattutto nella parte più vecchia, dove non può non colpire il numero esagerato di poliziotti presenti su ogni strada, via e vicolo. Se non altro, sono serviti a essere lasciato in pace dalla presenza altrimenti continua e insistente di ragazzi a piedi in auto o in bicicletta che si offrivano di aiutarmi per ogni cosa possibile, immaginabile e inimmaginabile. Un autista ed ex poliziotto mi informerà, più oltre nel viaggio, che le maniere della polizia sono ben più mordide di quel che erano ai tempi di Batista negli anni ’50, che la rivoluzione ha portato un notevole miglioramento anche da quel punto di vista. Sarà che negli anni 50 la popolazione viveva nel terrore, ma non mi è mai capitato di vedere un cubano tranquillo alla comparsa di un policìa.
Ho lasciato La Habana in direzione sud su un carro particular, auto privata che ben si presta al noleggio temporaneo, in condivisione con un francese e due cubani. Ovvio che il carro l'abbiamo pagato noi europei, era anche giusto in fondo. Ai semafori ho visto strani ingorghi di auto americane anni 50 e 60, auto russe tipo Lada, mezzi militari, corriere, furgoni, autocarri, biciclette, sidecar, carretti trainati da cavalli e uomini a cavallo, e di pedoni in paziente e rassegnata attesa di un passaggio qualsiasi. La continuità di queste scene mentre attraversavo la periferia della capitale spiega bene quanto sia difficile per i cubani spostarsi. Nei punti di maggior traffico era presente un funzionario che regolava il flusso degli "autostoppisti" e di annotava tutti gli automezzi che non si fermavano. Tutti, anche i tassisti privati, hanno infatti l’obbligo di fermarsi a caricare i cubani in attesa di un passaggio.
Tralascio la visita alla Laguna del Tesoro di Guamà, e annesso allevamento di coccodrilli che, a parte l'arrivare al centro della laguna in lancia passando per scenografie tipo Everglades non dà nessuna soddisfazione e si può tranquillamente saltare, per passare ad un fatto successo poco oltre il paesino di Playa Larga. Stavo perdendomi nei rilfessi turchesi e bianchi delle belle baia e spiaggia di Playa Larga quando l'autista ha frenato, all'improvviso. Ho guardato avanti e visto l’asfalto completamente invaso da migliaia di granchi. Tra chi attraversava la strada verso la spiaggia, chi verso la boscaglia e chi sembrava non sapere dove andare, la confusione era indescrivibile. Spiegando che a proseguire avrebbe finito per forare le - sottilissime - coperture della macchina, l'autista ha mimato a me e al francese di scendere e fare strada con un paio di bastoni. E’ stato impressionante: mai visto nulla di simile, l'orrore di ogni ecologista. La strada era completamente tappezzata di granchi spiaccicati ed rosa per un largo tratto. L'odore di crostaceo grigliato, anzi bruciarto, dall'asfalto incandescente era nauseante.
La fermata a Playa Giron è servita per dare l'avvio ad piccolo percorso storico con la "Baia dei porci" che ovviamente non esiste più, non qui almeno, ma il cui ricordo è forte nell'orgoglio popolare quanto nella vergogna americana, un luogo ormai regalato al mito più che un luogo reale insomma. Ne ho approfittato per fare un tuffo nella splendida Caleta Buena, una baia protetta da una barriera di coralli ormai morti, una grande piscina naturale di acqua cristallina, strapiena di pesci colorati. Ho dovuto innescare una breve discussione per entrare perché mi concedevo appena un'ora prima di partire verso Cienfuegos e all'accesso della struttura - solo per turisti e relative jineteras - avrei dovuto pagare i 12 US$ che davavno libero sfogo a cibi e bevande di cui non avrei potuto usufrire. Un po' d'insistenza è servita a ottenere quanto volevo.
A Cienfuegos, che prende il nome di Camilo Cienfuegos, terzo comandante in grado dei barbudos dopo Fidel e il Che, sono rimasto soggiogato dal Cimiterio della Reina. Non sono state tanto le belle tombe monumentali a emozionarmi, ma il fatto che soldati spagnoli e patrioti cubani morti nella guerra di indipendenza di fine '800 - di fatto acerrimi nemici - siano stati seppelliti insieme e tra i "personaggi", i "vip". Almeno qui, la Rivoluzione è arrivata. A Cienfuegos ho deciso di fare qualcosa di diverso, di viaggiare coi cubani. Mi sono così recato all'incrocio sulla carretera principale e mi sono messo in attesa tra decine e decine di indigeni che mi fissavano incuriositi. In un attimo ho fatto conoscenza coi vicini di fila e c'è stato chi mi ha spinto fuori dalla fila. Con 10 pesos siamo saliti in tre su un un camion che trasportava vecchi macchinari.
Ho fatto una breve sosta a Santa Clara, città molto tranquilla relativamente all'Avana, in cui ho continuato la mia personale rivisitazione storica di Cuba andando in visita al mausoleo del Che. L'impatto emotivo, più che visivo, è stato grande. Nessuno dei tanti altri giovani e meno giovani presenti era meno che commosso vicino a un personaggio che è un mito - a Cuba è venerato come un santo - e a cui si vorrebbe assomigliare almeno un po'. Essere poeta, combattente per la libertà, amante della vita, chi non vorrebbe... Una curiosità per chi non lo sapesse: il Che era argentino di nascita. "Che" è infatti l'appellativo che viene normalmente dato ad un argentino in tutta l'America latina, un po' come crucco o Franz per un tedesco, mangiaspaghetti per un italiano e via dicendo.
Il viaggio coi cubani è poi proseguito fino a Trinidad su un altro camion, questa volta rispettando un paio d'ore di fila. Ho cominciato a trovare fastidiosi i soliti cartelloni, una costante del paesaggio, cittadino o extraurbano, talvolta di dimensioni esageratamente comiche, che incitano alla rivoluzione. E' un lavaggio del cervello fastidioso e continuo, che aborro alla maniera di ogni condizionamento. Non sfugge quello fatto quotidianamente dai nostri "liberi" massmedia che centrifugano tutto e producono solo omologata omogeinizzazione, pardon globalizzazione.
Trinidad... se non ci capiti non puoi capire. Pare di essere finito in un altro tempo, in un presepe vivente, in un'icona di un altro mondo. E' stato molto piacevole passeggiare per le vie del centro al mattino presto e subito dopo il calare del sole e oltre, fino ad inseguire le note che immancabilmente mi conducevano alla Casa della Trova, il luogo dove si esibiva il meglio dei salseri locali. Sono stato ospite di una casa coloniale molto bella vicino al centro la cui anziana proprietaria affittava stanze in "multiproprietà" - tre o quattro per oghni stanza - alla maniera di un ostello. Il grande cortile interno era il luogo dove ci ritrovavamo a fare chiacchiere e bere rum in una ventina di giovani. Per la cronaca, nonna Amelia, questo era il suo nome, ci viziava.
Qui, ormai a metà del viaggio, ho scoperto che potevo chiedere una colazione a mio piacimento: latte, frutta, biscotti, caffè, uova, bacon... Col sistema cubano si può ottenere tutto quel che si vuole al mercato nero, basta naturalmente avere i dollari. Per le cene mi ero sempre adattato, e poi mi chiedevano sempre cosa desideravo, mentre per la colazione questo non era ancora successo. Con nonna Amelia sono tornato a fare colazioni molto abbondanti...
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