La verità dell'Alligatore di Massimo Carlotto

Creato il 16 aprile 2015 da Funicelli
Quando la vidi entrare, tailleur costoso e borsa rigida da professionista, capii subito che mi sarei perso parte del concerto di Cooper Terry che stava iniziando in quel momento”.
Inizia così, in modo diretto ed asciutto (come in un noir degli anni '40), il primo capitolo della lunga serie dell'Alligatore, il detective con la passione per il blues e per il Calvados nato dalla mente dello scrittore Massimo Carlotto. Sin dalle prime pagine il personaggio si racconta, senza nascondere nulla, al lettore: a cominciare dal periodo in galera, frutto dell'ospitalità per uno sconosciuto, negli anni del terrorismo rosso:
“Una sera era arrivato un tizio dall’accento romano, con una borsa sportiva e una faccia che avevo già visto da qualche parte. Ci arrestarono all’alba. Lui è ancora dentro, io gli ho fatto compagnia per sette lunghi anni. Per cavarmela con molto meno avrei dovuto firmare certi verbali e riconoscere certe facce”.

A poco a poco scopriamo chi fosse Marco Buratti, prima di diventare l'Alligatore: “Prima di finire nei guai ero il cantante di un gruppo, gli Old Red Alligators, e fu così che iniziarono a chiamarmi Alligatore”. I contatti col mondo della piccola criminalità gli hanno permesso di ritagliarsi un piccolo ruolo per investigazioni private, senza tessera naturalmente, ma dietro compenso.
Dalla galera sono uscito senza più la voglia di cantare e suonare. Mi va solo di ascoltare. E di continuare a bere. Ormai soltanto calvados, tutto ciò che mi rimane di una donna perduta in Francia [..]Da allora svolgo piccole indagini per tutti quei legali che hanno bisogno di entrature nel mondo della malavita. Solo dietro compenso, naturalmente”.
Piccoli lavori, in una piccola città di provincia. Lavori facili puliti: questo prima di incontrare l'avvocato Foscarini che gli chiede di occuparsi di un suo cliente, condannato anni prima per un omicidio e ora in regime di semilibertà. Ora scomparso dalla circolazione. L'avvocato teme che il suo cliente compia qualche sciocchezza: nel raccontare i fatti però, il suo atteggiamento tradisce uno strano attaccamento, a questa persona.
Questa sua partecipazione emotiva stava a indicare che mi trovavo di fronte a una situazione quantomeno insolita”.
Inizialmente scettico, Buratti si mette in modo muovendosi nel mondo del piccolo spaccio, ed interrogando i compagni di detenzione, anche loro in semilibertà. Scopre che Magagnin aveva da tempo una relazione con una donna, che lo veniva a prendere tutti i giorni. Questa donna è un'insegnante che Buratti va a trovare a casa: dove però trova solo il suo cadavere
“Omicidio, senz’ombra di dubbio. Un sacco di coltellate: alcune decine concentrate sul tronco, una, dai bordi slabbrati, alla radice del collo”.
Un altro omicidio e il colpevole non può che essere la persona che sta cercando, che ha ripreso a bucarsi e che ha commesso lo stesso reato per cui era stato condannato anni prima. Ma qui iniziano le prime stranezze, che solo un investigatore come l'Alligatore è capace di cogliere. Dettagli sul corpo della vittima, sul suo orologio. La vittima, la professoressa Piera Belli, poi, era stata giudice popolare nella Corte d'Assise che nel 1976 lo aveva condannato. Entra qui in scena il secondo personaggio del mondo dell'Alligatore:
Era arrivato il momento di fare entrare in scena Beniamino Rossini, meglio noto nell’ambiente come il “vecchio Rossini”, per distinguerlo dai suoi numerosi fratelli.[..]Uno degli ultimi rappresentanti della vecchia malavita milanese, la cui specialità erano le rapine ai furgoni portavalori”.
Assieme riescono a trovare l'uomo che, chiaramente, diventa il principale indiziato della morte della professoressa. Assieme a Rossini, riescono a ritrovare il fuggitivo, che nonostante tutto, si dichiara innocente. Innocente e senza alcuna voglia di consegnarsi né al suo avvocato né tantomeno alle forze dell'ordine. La sua latitanza dura poco: rimasto solo, Magagnin si uccide con un ultimo buco nella vena. Forse per un senso di rimorso. O forse no. Perché, rileggendosi le carte dell'omicidio della professoressa Belli, ottenute grazie all'aiuto dell'avvocato Foscarini, Buratti scopre un dettaglio che finalmente gli fa comprendere la verità. Non avevano capito niente di come erano andate le cose. Magnagnin era veramente innocente, quanto meno della morte della Belli. E questo è solo l'inizio di un giallo che diventa, pagina dopo pagina, sempre più complicato: “ogni volta che si arrivava a qualche verità, si scopriva subito che dietro di essa se ne celava un'altra. Come in una scatola cinese”. E qual'è questa verità “dell'alligatore”? Un mondo di piccole perversioni di cui fanno parte tanti professionisti della borghesia padovana. Sesso, droga, ricatti. Ma non solo. In casa della Belli, dietro uno scaffale ben nascosto, l'Alligatore e Rossini trovano delle carte del vecchio processo, quello per la morte della signora Mocellin Bianchini. Moglie in seconde nozze di un importante industriale. Amante di un importante avvocato del foro. Uomini potenti, dalle vaste conoscenze, capaci di condizionare la macchina della giustizia, giudici, consulenti, altri imprenditori. Un sistema capace di proteggere i suoi membri e le loro trame, a qualunque costo. Che fare allora? La seconda parte del libro è il racconto di una guerra. Perché i nostri investigatori hanno sollevato un polverone così alto, mandando certe carte ad un giornalista abbastanza coraggioso dal volerle pubblicare, che ora devono nascondersi. E per salvare la pelle, dovranno puntare alto. Molto in alto. E farsi aiutare da tanti personaggi, di quel mondo a metà tra criminalità e legge, reduci di vecchie battaglie perse, come Max la Memoria o il Colonnello. Perfetto come un orologio, veloce come una pallottola, reale perché scritto basandosi sulle sue conoscenze di quel mondo a confine tra legalità e illegalità: ne “La verità dell'Alligatore” inizia ad uscir fuori il mondo della borghesia di provincia con tutte le pubbliche virtù e i vizi privati. E' il nordest dell'arricchimento facile, dei cittadini “talmente onesti che in tribunale non ci sono mai stati, nemmeno come testimoni”. Terreno fertile per criminali in doppio petto e la fedina pulita, e di criminali con un senso di giustizia tutto loro. Il sito di Massimo Carlotto e la scheda del libro sul sito di Edizioni E/O
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