La verita' sulla pressione fiscale

Creato il 19 marzo 2012 da Vincitorievinti @PAOLOCARDENA
di Paolo Cardenà-
Nei giorni scorsi ha suscitatonon poco clamore il monito lanciato dalla Corte dei Conti che ha denunciato illivello preoccupante del prelievo fiscale  indicandolo al 45% del Pil.Il dato, pur essendo di per seuna grandezza che desta non poca preoccupazione, in realtà,  non ci racconta l’esatta situazione delprelievo fiscale e la relativa disuguaglianza tributaria, se non scomposto trale varie categorie di contribuenti che lo compongono.
Ebbene, anche in questo caso,alcune precisazioni sono d’obbligo  poiché, questo dato , esprimendo dellevariabili aggregate, sintetizza, di fatto, un indicatore medio del livello ditassazione nell’universo di una popolazione. In altre parole, proprio perchérappresenta un valore medio e quindi, per definizione, soggetto a distorsioni,non esprime in alcun modo il livello di tassazione per alcune categorie disoggetti che può raggiungere, come vedremo in seguito, livelli decisamente distantidalla media indicata dalla Corte dei Conti, manifestando, in manierainquietante, la disparità fiscale esistente in Italia.Poniamo ad esempio un piccoloimprenditore commerciale che, nel primo anno di attività,  abbia conseguito un utile da bilancio al 31/12pari 70 mila euro e che, per  effettodella ripresa a tassazione di alcune componenti di costi non deducibili oparzialmente deducibili (es.: Autovetture, ristoranti ecc ecc), il suo redditofiscale sia 76 mila euro. Un ottimo utile si direbbe! Ma quanto rimaneeffettivamente in tasca al nostro contribuente e quel’è la pressione fiscaleche egli subisce?Nel caso appena descritto, ilnostro contribuente, benché abbia realizzato un utile al lordo delle imposte di70 mila  euro, egli dovrà corrispondere impostesu un reddito fiscale di  76 mila euro e,a conti fatti, tra Irpef, Irap, addizionali regionali e comunali econtribuzione Inps, egli dovrà versare all’erario  circa 47 mila euro su 70 mila  di utili realizzati; euro più, euro meno.Benché il prelievo  fiscale, in questo caso, sia già di oltre il 67%dell’utile della sua attività, il nostro contribuente dovrà all’erario, fuoridal perimetro del suo reddito e della sua attività di impresa,  altre imposte come, ad esempio, l’iva suiconsumi, l’Imu sulla sua abitazione, eventuali imposte di bollo, di registro  ed altro. Quindi, ipotizzando che egli spenda,in termini di consumi 18 mila euro per il suo sostentamento e della propriafamiglia ed ipotizzando un aliquota media dell’iva del 16%, egli verserà,indirettamente, allo stato altri 2500 euro di imposta sul valore aggiunto,arrivando così ad oltre i  49 mila eurodi imposte pagate su 70 di utile realizzato, che rappresentano ben il 71%.Sommando l’eventuale Imu e altre tasse minori (ma non marginali) e altreocculte, potremmo arrivare agevolmente alla soglia  75% del redditoprodotto, o forse più. Analogo discorso può osservarsi per i redditi da lavorodipendente.A tale livello di pressionefiscale ai limiti dell’impossibile e dell’insostenibilità, si contrappone unregime molto più agevolato  per le renditedi natura finanziaria tassate al 20% (12.5% nel caso di titoli di stato), e peri redditi derivanti da locazioni di immobili ad uso  abitativo per i quali, il legislatore, seppurcon alcune distinzioni, ha previsto un aliquota secca del 21%.Benché gli esempi sopra riportati,nella loro semplicità, costituiscano dei casi limite del sistema fiscaleitaliano (ma non troppo a dire il vero, considerata la vastità della platea dei contribuenti interessati da tali fattispecie), ci offrono uno spaccato abbastanzasignificativo del sistema impositivo  vigente e delle disparità celate dal datoaggregato della pressione fiscale.  Inbuona sostanza, si preferisce adottare la mano morbida sulle rendite finanziarie e suipatrimoni - talvolta utilizzati anche per condurre azioni  speculative a danno dell’economia - mentre siusa la mano pesante per i redditi derivanti da lavoro, da attività di impresa,o che comunque sono finalizzati allo sviluppo economico e quindi alla crescitadel benessere collettivo.  E’ evidente che il livello di prelievo fiscale sullavoro e sulle attività produttive si traduce, oltre che in una minore capacitàdi spesa dei contribuenti, anche  in unimmediato abbattimento  dei livelli dicompetitività delle imprese, costrette, quindi, a praticare un livello di prezzipiù elevato, rispetto ai competitor esteri, al fine di recuperare laredditività compressa dal prelievo fiscale. Quindi, appare indispensabile cheal rilancio del sistema Italia, debba necessariamente contribuire anche  una rimodulazione del sistema impositivofiscale che dovrà ispirarsi  a principidi maggiore equità e progressività di contribuzione, aumentando sia il prelievosulle rendite finanziarie e sui patrimoni, a favore di una diminuzionesignificativa del prelievo sul lavoro e sulle attività produttive. Questa soluzione, oltrea favorire una diminuzione dei fenomeni evasivi ed elusivi, renderà le nostreimprese più competitive nei confronti di concorrenti esteri e permetterà diaumentare la capacità di spesa delle famiglie e delle imprese, generando, non trascurabili, dinamiche virtuose per il ciclo economico.  Più o meno il contrario di quanto fatto fino adesso.