La vestale Cossinia

Creato il 04 novembre 2015 da Signoradeifiltriblog @signoradeifiltr


Pubblicai sul mio foglio, qualche tempo fa, alcune immagini del castello di Tivoli, la Rocca Pia. Tra i tanti amici che videro le foto e la breve storia di essa, qualcuno mi chiese di far conoscere qualche altra cosa del mio paese. Mi ripromisi di parlare della vestale Cossinia, sconosciuta ai più, e forse anche a molti dei miei concittadini. Ecco, ve ne parlo adesso.
Partiamo dalla tomba. C'è un cimelio sulle rive del fiume Aniene, e precisamente sulla sponda destra, che viene fatto risalire al secolo II-III d.C. E' un semplice basamento su cinque gradini sul quale si erge questo cippo funerario. Dietro c'è un altro piedistallo, se così possiamo chiamarlo, questo è formato da soli tre gradini e pare che sotto di esso siano stati rinvenuti i resti della vestale Cossinia con a fianco una bambolina snodabile, in avorio. Il rinvenimento avvenne nell'anno 1929, durante lavori di potenziamento dell'argine che era sottoposto a continui franamenti della scarpata, impraticabile allora.
Qualche giorno fa ho deciso di andare a far visita al monumento e, per farlo, ho attraversato il Ponte della Pace che scavalca il fiume Aniene nei pressi dell'Ospedale. Passato il fiume, si sale per una stradina ammattonata fra alte canne di fiume sulla sinistra e piante sulla destra; qui a suo tempo l'amministrazione sistemò due o tre panchine in ferro (i sostegni laterali) e toghe di legno (a costituire la panchina) ma queste oggi, grazie al vandalismo di qualcuno, sono ridotte ai minimi termini, vale a dire ci sono solo i sostegni in ferro, ché le toghe sono state divelte e chissà che fine hanno fatto. Non è proprio un belvedere. Senza contare che le erbacce stanno invadendo il breve tratto di strada in salita e tra poco si dovrà tagliare con il machete se si vuole salire al piazzale della Stazione dei treni. Giunti qui sopra si deve camminare nel senso che va verso il centro, circa un centinaio di metri, per poi scendere per un'altra decina di metri e giungere al cippo.
Ho percorso questo breve tratto sotto un sole splendido ma il cuore mi si è ristretto nel constatare che anche qui - sul largo marciapiede che guarda il fiume - le quattro/cinque panchine di travertino sono state devastate, distrutte dallo scempio attuato da bipedi che nottetempo, dopo il lavoro eroico, hanno perfino imbrattato i pezzi rimasti, uno sconcio mostruoso, da me segnalato molto tempo fa a chi di dovere, ma da allora niente si è fatto. Il decoro della città, o meglio, di questo paesucolo (mi dispiace molto definirlo tale, ma purtroppo non è molto di più di questo, un paesucolo, per il menefreghismo e l'ignoranza di tutti) non importa a nessuno, tantomeno alle autorità costituite, amen. Voi - amici che mi leggete - cercate di gustarvi "solo" la storia del monumento, ché le mie lamentele sono rivolte ad altri, lo avrete capito; ma ho il dovere di farle.
Eccomi arrivato: il cancello è aperto ma se non lo fosse sarebbe la stessa cosa, ché di lato si può " trasire" e scendere senza colpo ferire. E allora scendo i cinque o sei larghissimi gradoni; ed ecco apparirmi il monumento funebre.
Le facce del monumento sono ignominiosamente scarabocchiate e deturpate da sedicenti scrittori della domenica con ghirigori illeggibili, a colori nero e rosso, di vernice o pennarello o chissà che cosa. Bravi ragazzi!!!! Tornate presto a finire il vostro lavoro letterario, anche sulla faccia che avete dimenticato di sporcare!!!
Veniamo al monumento: in un tondo fatto di foglie di quercia a rilievo, c'è scritto alla vergine vestale Cossinia e sotto c'è il nome di chi ha fatto la dedica: il parente o il padre: Lucio Cossinio Eletto. La facciata posteriore invece riporta:

"Qui giace e riposa la Vergine,
per mano del popolo trasportata,
poiché per sessantasei anni fu fedele al culto di Vesta.
Luogo conce
sso pe r decreto del Senato".
Il tutto in latino, chiaramente.
Ecco la scritta come appare:
V(irgini) V(estali)
Cossiniae
L(uc
ii)f( iliae),
alla vergine vestale
Cossinia
,
fi glia di Lucio
sotto c'è il nome del parente (il padre?) come detto: L. Cossinius Electus.
Nella faccia del retro appare questo scritto:
Undecies senis quod Vestae paruit annis,
hic sita virgo, manu populi delata, quiescit.
L(ocus) d(atus) s(enatus)
c(onsu
lto)
che tradotto, alla lettera, significa:
dopo undici volte gli anni che ha svolto il servizio per la dea Vesta
qui sepolta, la vergine, dal popolo trasportata a mano, riposa.
luogo donato con senatoconsulto (decreto del se
nato)
Eccola dunque la storia di questa eroica fanciulla che dedicò tutta la vita a tenere acceso il fuoco della dea Vesta nel tempio a lei dedicato a Tivoli; tempio che si può vedere ancora in tutta la sua superba maestà ergersi su uno spuntone di roccia che dà su un immensa voragine di piante e di verde.
Dunque: Cossinia viene destinata - quando ha solo meno di una decina d'anni, forse sei o sette appena - a servire al tempio di Vesta a Tivoli. Come tutte le sue compagne svolge il suo servizio con competenza e dedizione.

Le vestali all'epoca si dovevano impegnare a non lasciare il compito sacerdotale se non al compimento dei trent'anni. Ma Cossinia, allo scadere del tempo, non abbandonò, continuò il suo impegno fino alla morte che avvenne alla bella età di 75 anni. E i versi incisi sul travertino del cippo dicono proprio questo: undecies senis anni, servì la dea per ben 66 anni. (Obbedi a Vesta undici volte l'età che aveva al suo ingresso nel sacerdozio).
Restò a curare il fuoco sacro alla dea, che non si spegnesse mai. Quando morì, alla veneranda età di 75 anni, il populus tiburtinus volle tributarle onori grandissimi e indimenticabili. Una moltitudine di gente accompagnò la vergine vestale a riposare in pace sulla sponda del fiume Aniene. Qui fu sepolta e, davanti alla tomba, a perenne ricordo, fu elevato il cippo che vediamo.
Con essa, e accanto a essa, fu posta una bambolina dagli arti snodabili, fatta di avorio, con la quale Cossinia giocava da fanciulla, ma che non lasciò mai, andando contro la tradizione e l'usanza in auge a quei tempi. Infatti, era costume che le giovani potessero giocare con le proprie bamboline soltanto fino al momento di entrare a far parte di un'altra vita, quella coniugale e, al momento di sposarsi, i loro giocattoli, nel caso la bambola, venivano donati alla dea. La giovane sappiamo che non si sposò, dedicando la vita alla Dea Vesta e mantenne con sé la bambolina, il suo giocattolo preferito.
La bambolina di Cossinia è bellissima, longilinea, ha le giunture snodabili così che la bambina possa muoverle a piacimento, metterla seduta o farla camminare tenendola per le mani. Insomma, la pupa poteva assumere diverse posizioni. Aveva anche un corredo, come si usa ancora oggi, ad esempio con le famose Barbie, in un cofanetto c'erano gioielli, una collanina a maglia doppia e diversi braccialetti da indossare sia ai polsi che alle caviglie.
Il sito è stato rinvenuto come detto nel 1929 per porre riparo a smottamenti del terreno troppo vicino al fiume. E' stato risistemato nell'anno 1967 grazie all'intervento dell'Azienda di Cura e Turismo della città, che ha realizzato, per permettere di giungere a visitare il monumento, un'ampia scalinata d'accesso in ammattonato. C'era tutt'intorno anche una specie di giardino, ma oggi questo è ridotto a un insieme di erbacce che crescono per ogni dove, ostacolando perfino il passaggio per avvicinarsi al cippo funebre.
Grande è l'incuria, sia di quei pochi, pochissimi - io aggiungerei nulli, e credo di non sbagliare - visitatori che vanno laggiù, sia, soprattutto, delle autorità cittadine che nulla fanno per preservarlo e adeguatamente conservarlo. Purtroppo il sito è fuori mano rispetto al centro urbano, ma non si fa niente per pubblicizzarlo e far sì che i moltissimi visitatori che arrivano annualmente da tutto il mondo, oltre alle nostre ville, visitino anche questo.
Concludo il mio breve saggio con la speranza che le autorità possano "iniziare a vigilare", trovino la maniera, per la conservazione delle nostre - e sono tante - bellezze e antichità.
Mi vergogno un poco a dichiarare che da qualche tempo da noi imperano la barbarie e il vandalismo più duri, che - se non si interverrà presto e nel modo giusto - ridurranno in polvere anche le opere più grandi; si ricordi lo stato di Villa Gregoriana, un gioiello della natura, prima che la gestione fosse affidata al FAI, Fondo Ambiente Italiano, che tutela ben quarantamila metri quadrati di edifici e opere d'arte in tutta Italia, strappati al degrado nel pieno rispetto dell'arte e della natura.
marcello de santis