La vetrina degli Incipit - Giugno 2012

Creato il 01 luglio 2012 da La Stamberga Dei Lettori

L'incipit in un libro è tutto. In pochi capoversi l'autore cattura l'attenzione del lettore e lo risucchia nel vortice della storia. Oppure con poche banali parole lo perde per sempre...Quanti libri, magari meritevoli, giacciono abbandonati dopo poche righe sui comodini di ogni lettore? E quanti altri invece sono stati divorati in poche ore perchè già dalle prime righe non siamo più riusciti a staccare gli occhi dalle pagine?
Anche questo mese vogliamo condividere con voi gli incipit dei libri che stiamo leggendo, perchè alcuni di voi possano trarre ispirazione per le loro future letture e perchè altri possano di nuovo perdersi nel ricordo di personaggi e atmosfere che già una volta li avevano rapiti...

Lo staff della Stamberga

   

***
«Ha dimenticato qualcosa. Appena si sveglia lo sa con sicurezza. Qualcosa che ha sognato durante la notte. Qualcosa che dovrebbe ricordare. Si sforza di ricordare. Ma il sonno è come un buco nero. Un pozzo che non rivela niente di ciò che contiene. Eppure non ha sognato i tori, pensa. Se fosse stato così sarei fradicio di sudore, come se mi fossi svegliato per la febbre nel pieno della notte. E questa notte i tori mi hanno lasciato in pace»
Assassino senza volto, di Henning Mankell - Valetta
 
«Immenso. Più lo guardava e più si rendeva conto che avrebbe fallito, anche lui lo guardava. I loro sguardi sembravano avere la medesima intensità e la stessa voglia di non abbassarsi. «Sono io il capo.» Fisso. «Lo vedremo.» Fisso. Le forze potevano equivalersi, nonostante le evidenti diversità fisiche tra i due contendenti. Muscoli, tensione, nervi e determinazione si stavano studiando. L’attesa permetteva alla corda di mantenersi tesa e in equilibrio. Tarek aveva deciso di non partire per primo, avrebbe assecondato la sua tirata facendolo stancare, per poi assestare il suo potente colpo ho-issa. «Sono io il capo?» Meno fisso. Improvvisamente qualcosa che Tarek lesse nel gelido sguardo dello sfidante nero lo fece tremare: la sua testa cominciò a chinarsi, prima in modo quasi impercettibile, poi in maniera teatralmente evidente. Presi dallo sconforto, gli occhi seguirono la testa. Dove gli occhi cadono, salgono i muscoli. Galvanizzato dal suo fisico secco e nervoso, Tarek tese il suo spizzico di muscoli da definire. Assestò il suo colpo, una tirata degna di un vogatore di Cambridge. L’avversario incassò con indifferenza il colpo e reagì correndo. La corda rimase salda, Tarek rotolò a terra e venne trascinato per alcuni metri sull’indelicato terreno del parco della Colletta. Pensò al titolo di quel film western in cui Joe lo straniero veniva trascinato dal cavallo di Ramón per le desolate lande dell’Arizona. La polvere nel cervello gli impediva di concentrarsi a dovere sulla ricerca. Mosso da pietà, il suo nemico si arrestò nei pressi di un cespuglio pungente, Tarek ne approfittò per sputare sassolini e terra e per mettersi in ginocchio, fiducioso di innalzarsi nuovamente per riprendere il singolar tenzone da protagonista, rovesciandone gli esiti. Il nemico, senza degnarlo di uno sguardo, pisciò sui jeans stretti di Tarek e ripartì al galoppo. Qualche giro di polvere dopo, Tarek decise che era troppo per lui, l’avversario aveva vinto. Inutile negarlo. «Ok, il capo sei tu.» La sottomissione che tanta fortuna aveva avuto nella storia delle sfide, non sortì alcun effetto sul ginnico nemico. I giri di polvere ripresero, non per malvagità ma per divertimento. Ogni tanto si fermava per leccare la faccia di Tarek: evidentemente si era affezionato. Mentre veniva lavato dalla sua lingua secca, Tarek notò parecchie cicatrici sul corpo e sul muso del nemico, la sua vita non doveva essere facile. «Cortés! Almeno rallenta per favore.» Tarek considerò un elemento importante che gli avrebbe permesso di uscirne sconfitto, ma vivo, prima che l’aratura diventasse scavo: mollare il guinzaglio e lasciare che Cortés continuasse la sua corsa da solo. Dog e cat sitter, taxi dog e cat, pratiche anagrafe, espatrio, adozione, agenzia funebre per: cremazione, smaltimento, dispersioni, sepoltura in area privata e urne per ceneri. Tutti i servizi forniti dall’agenzia Amici come noi.»
Prossima fermata Trambusto, di Luca Gallo - Daniele
«La matinata, sino dalla prim'alba, si era addimostrata volubili e crapicciosa. Epperciò, per contagio, macari il comportamento di Montalbano, in quella matinata, sarebbi stato minimo minimo instabili. La meglio era, quanno capitava, di vidiri il meno nummaro di pirsone possibbili. Cchiù passavano l'anni e cchiù s'addimostrava d'umori sensibili alle variazioni climatiche, all'istesso modo che una maggiori o minori umidità agisci supra ai dolori d'ossa di un vecchio. E arrinisciva sempri meno a controllarisi, ad ammucciari l'eccessi d'alligria o di grivianza. Nel tempo che ci aviva dovuto 'mpiegari per arrivari dalla sò casa di Marinella insino alla contrata Casuzza, sì e no 'na quinnicina di chilometri ma tutti fatti di trazzere bone per cingolati o di stratuzze di campagna tanticchia meno larghe della larghizza della machina, il celo dal rosa chiaro era passato al grigio e po' dal grigio si era convirtuto al cilestre splapito per firmarisi momintaneo a un bianchizzo neglioso che sfumava i contorni e confonniva la vista. La tilefonata gli era arrivata alle otto del matino, mentri che stava finenno di farisi la doccia. Si era susuto 9 tardo pirchì sapiva che quel jorno non doviva annare in ufficio. S'infuscò. Non s'aspittava d'essiri chiamato al tilefono. Chi era che gli scassava i cabasisi?»
Una lama di luce, di Andrea Camilleri - Pythia
«La radio del taxi era sintonizzata su una stazione di musica classica. La Sinfonietta di Janácek - probabilmente non la musica ideale da ascoltare su un taxi imbottigliato nel traffico. Il guidatore, un uomo di mezza età, non sembrava comunque prestarvi molta attenzione. Bocca cucita, guardava fisso davanti a sé verso l’interminabile colonna di auto che si snodava sulla superstrada sopraelevata, come un esperto pescatore che, in piedi sulla prua della sua imbarcazione, osserva l’infausta confluenza di due correnti. Aomame si accomodò sull’ampio sedile posteriore, chiuse gli occhi e si mise ad ascoltare la musica. In quanti sarebbero in grado di riconoscere La Sinfonietta di Janácek dopo le primissime battute? Probabilmente un valore qualsiasi tra “molto pochi” e “praticamente nessuno”. Ma, per qualche motivo, Aomame era tra i pochi che ne erano in grado. Janácek compose questa breve sinfonia nel 1926. L’apertura fu originariamente scritta come fanfara per una rassegna di ginnastica. Aomame si immaginò la Cecoslovacchia del 1926: la Prima Guerra Mondiale era finita, e il paese era libero dal lungo dominio degli Asburgo. Godendosi questo pacifico intervallo, la gente beveva Pilsner nei caffè e fabbricava meravigliose mitragliatrici leggere. Due anni prima, nell’oscurità più totale, Franz Kafka si era lasciato il mondo alle spalle. A breve sarebbe sbucato fuori Hitler e si sarebbe divorato il suo piccolo e grazioso paese in un batter d’occhio, ma a quell’epoca nessuno poteva sapere quali disgrazie erano là da venire. Questa potrebbe essere la massima più importante consegnataci dalla storia: “A quell’epoca nessuno sapeva cosa stava per succedere.” Ascoltando la musica di Janácek, Aomame si immaginò il vento spensierato che spazzava le pianure della Boemia e pensò alle vicissitudini della storia.»
1Q84, di  Haruki Murakami - Sakura
 
«Era una storia senza corpo, senz’anima, senza mordente. Personaggi dai nomi improbabili si aggiravano senza sosta in scenari urbani. Amori, disamori, passioni non corrisposte, solitudine. Uno schifo. Niente che la interessasse o riuscisse a emozionarla. Così, dal divano dov’era seduta, Paula gettò via il libro, che cadde con la costola all’insù. Sembrava una piccola tenda canadese. Se tutti i libri che aveva portato con sé in quell’angolo sperduto del mondo si fossero rivelati così, sarebbe stata costretta a ordinarne altri molto prima del previsto. Abbandonato sul tappeto, il libro aveva l’aria di essere caduto per caso. Il mattino dopo, Luz Eneida l’avrebbe amorevolmente raccolto senza domandarsi come fosse arrivato fin lì. Poi l’avrebbe posato sul tavolo e l’avrebbe spolverato. Luz Eneida spolverava tutto, anche i libri nuovi senza un solo granello di polvere.
Non mostrava la minima curiosità per le cose che vedeva in casa, nulla sembrava attirare la sua attenzione. Compiva i suoi rituali domestici con lieta equanimità. Si sarebbe detto che in quel paese nessuno si ribellasse alla propria condizione.
»
Giorni d'amore e inganno, di Alicia-Giménez Bartlett - Vittoria A.

«E' successo oppure no? In un modo o nell'altro, nessuna memoria ha uno Stato, nessuno Stato ha una memoria. Posso ricordare oppure inventare un ricordo, e al tempo stesso inventare uno Stato o pensare che in passato fosse diverso. Nessuno Stato può essere diverso se prima non è stato non-diverso.»
1948, di Yoram Kaniuk- Mara
«All'una e quindici di una notte di inizio maggio, alla centrale di polizia del Fujian, giunse una telefonata anonima.
"Andate immediatamente al 'Denaro inebriante e oro ubriacante', stanza 135. Troverete materiale da prima pagina per la Stella del Fujian".
Il sergente Liu Xiandong, che rispose al telefono, aveva già sentito parlare del locale. era un cosiddetto centro karaoke, in realtà noto per le prestazioni sessuali che offriva, coperto dal karaoke, a funzionari corrotti e uomini d'affari. la Stella del Fujian era un tabloid locale, fondato nelgi anni '90. La telefonata conteneva un messaggio inequivocabile: in quella stanza stava accadendo qualcosa di scandaloso. 
Ma Lou era insonnolito e irritato. Aveva deciso di lavorare in quel turno per il premio notturno. Scapolo, quasi sui trentacinque anni, aveva appena conosciuto una ragazza adorabile, doveva godersi un dim sun con lei il mattino dopo e una settimana di premi notturni avrebbe probabilmente coperto la spesa. Sognava involtini di gamberetti e granchio cotto al vapore nel bambù dorato, la chiara risata di lei che increspava il tè Longjing nella tazza, le sue dita che strappavano per il lui la verde foglia di loto dall'appiccicoso pollo al riso...»
Ratti rossi, di Qiu Xiaolong - Polyfilo
«Aveva piovuto tutto il giorno. Di solito me ne infischio, se piove o no, ma quella volta avevo promesso di montare le tende e di portare il bambino in spiaggia. Mi ero anche riproposto di applicare quei cavolo di stencil alle pareti loro riservate nella parte della cantina che il nostro mediatore aveva definito tavernetta, e inoltre volevo capire in che modo impegnare quella soffitta che secondo il mediatore, sempre lui, andava considerata un disimpegno, passibile di trasformarsi in stanza degli ospiti, studio, o laboratorio. Ma subito dopo colazione mi ero lasciato distogliere dai miei propositi. Tutta colpa di un arretrato di « Selezione ». È una rivista che di solito non leggo. Mica per altro, non ne ho bisogno, dato che tutte le mattine sul 751 e tutte le sere sul 603 sento analizzare ogni suo articolo nei minimi dettagli. A Verdant Green - duecento case tirate su in quattro stili differenti - ne vanno tutti pazzi. In pratica non parlano d'altro. Eppure devo confessare che quel benedetto periodico, quando mi capita in mano, finisce per catturare anche me. Quella volta in particolare mi ero appassionato, nell'ordine, ai pericoli cui sono esposte le nostre scuole pubbliche, alle meraviglie del parto naturale e alle gesta di una comunità dell'Oregon che aveva sgominato un traffico di marijuana. Quindi ero passato a una certa figura che un certo famoso scrittore di cui ora mi sfugge il nome considerava il personaggio più indimenticabile da lui incontrato. Un momento, un momento. Indimenticabile? Be', era ovvio che l'autore non sapeva di cosa stesse parlando. Temo che il significato stesso della parola gli sfuggisse: a lui, come a chiunque non avesse conosciuto mia zia Mame. Però dovevo ammettere che fra il suo personaggio indimenticabile e il mio qualche parallelo si poteva tracciare. Il suo era una tenera zitella del New England che viveva in una tenera casettina bianca di legno, e che un giorno aveva aperto la sua tenera porticina verde per ritirare, come ogni mattina, la sua copia dello «Hartford Courant»: ma invece del giornale, si era ritrovata sulla soglia una tenera cesta di vimini, con dentro un tenero frugoletto. Il resto dell'articolo raccontava come e qualmente il personaggio indimenticabile avesse raccolto il frugoletto, e come negli anni successivi lo avesse cresciuto. A quel punto avevo chiuso « Selezione », e mi ero messo a pensare al tenero donnino che aveva tirato su me.»
Zia Mame, di Patrick Dennis - Tancredi

«Il cielo sopra il porto aveva il colore della televisione sintonizzata su un canale morto.»
Neuromante, di William Gibson - Morwen
«13 settembre 1321
A metà dei miei giorni me ne andrò alle porte degli inferi.
Chissà perché proprio allora gli vennero in mente così, mentre appoggiava un piede a terra tastando cautamente il suolo, quelle parole misteriose che aveva scritto il consigliere di Acaz di Giuda, il più grande tra i profeti dell'era antica... Forse succede a tutti prima o poi, nel bel mezzo di una vita, a trentacinque anni, quanti ne aveva anche lui: che si possa essere presi da un inesplicabile senso di vuoto, come quando si danza sull'orlo dell'abisso. Capita soprattutto se si è smarrita la via, e si arranca irrequieti tra le spire malsane della solitudine, che tutto all'improvviso paia insulso, vanitas vanitatum, persino il fatto di essere dove si è, se si era partiti con altre aspirazioni. Se si vuole essere onesti con se stessi occorre ammettere un mezzo naufragio, altrimenti si rischia di aggrapparsi a illusioni scadute, di crearsi un alibi per il fallimento, di proseguire il viaggio cullandosi tra le menzogne poco rassicuranti di una falsa coscienza...»
 Il libro segreto di Dante di Francesco Fioretti - Romi

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