L'incipit in un libro è tutto. In pochi capoversi l'autore cattura l'attenzione del lettore e lo risucchia nel vortice della storia. Oppure con poche banali parole lo perde per sempre...
Quanti libri, magari meritevoli, giacciono abbandonati dopo poche righe sui comodini di ogni lettore? E quanti altri invece sono stati divorati in poche ore perché già dalle prime righe non siamo più riusciti a staccare gli occhi dalle pagine? Anche questo mese vogliamo condividere con voi gli incipit dei libri che stiamo leggendo, perché alcuni di voi possano trarre ispirazione per le loro future letture e perché altri possano di nuovo perdersi nel ricordo di personaggi e atmosfere che già una volta li avevano rapiti...
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« Al culmine della lunga estate umida dell'anno Settantasettesimo di Sendovani, il Forgialadri di Camorr fece una visita improvvisa e inattesa al sacerdote Senzocchi al Tempio di Perelandro, con la folle speranza di vendergli il giovane Lamora.
«Ho da proporti un affare!» esordì il Forgialadri, forse infaustamente.
«Un altro affare come Calo e Galdo, magari?» disse il sacerdote Senzocchi. «Ho ancora il mio bel daffare a togliere a quegli idioti ridacchianti tutti i vizi che hanno preso da te e sostituirli con i vizi che servono a me.»
«Avanti, Catena.» Il Forgialadri scrollò le spalle. «Te l'avevo detto che erano scimmiette merdose, e all'epoca non ti era...»
«O magari un affare come Sabetha?» La voce più pastosa, più profonda del sacerdote ricacciò l'obiezione dritta in gola al Forgialadri. «Ricordo che per lei mi hai chiesto qualunque cosa a parte le rotule di mia madre morta. Avrei dovuto pagarti in ramine e guardarti mentre ti facevi uscire un'ernia cercando di portar via tutto.»»
«Eccoci qui. Seconda liceo scientifico, in periferia degradata. Muri ansiosi di ricevere una mano di vernice fresca, pavimenti opachi, vetri appannati, lampadari sbilenchi…Quando mi sono presentata in aula professori, questa mattina, due colleghe mi hanno guardato con indifferenza e hanno continuato a sbadigliare con la tazza del caffè in mano. La terza invece mi è venuta incontro, sorridente, con la mano tesa: “ Sei la nuova di lettere?Piacere, matematica”.Poi mi ha spiegato anche che si chiama Lucia. Mi ha messo in guardia nei vostri confronti, cari i miei ragazzi.”Fai attenzione a come ti presenti in IID, fanno fronte unico e seguono come un gregge il più spostato della classe, Antonio Buggioni. L’anno scorso hanno provocato l’esaurimento alla tua collega. Non è riuscita a combinare niente, forse è meglio che tu dia una ripassatina al programma di I.”
Niente male come inizio, vi pare?
“Tu come te la cavi in quella classe?”le ho chiesto con lo stomaco già gonfio per l’apprensione. Ha allargato le braccia, ha sorriso:” Faccio quello che posso, come posso. Non abbiamo la tipica utenza da liceo. E’ un paese della prima periferia, praticamente un quartiere dormitorio. Molte famiglie operaie mandano i figli a scuola qui solo perché è comoda o magari nella speranza che abbiano una vita migliore, che vadano all’università. Capirai da sola che sono pochi quelli che hanno una qualche speranza di procedere negli studi. In particolare nella sezione D. In II D i compiti per intero li fa solo Marisa. Se vuoi ottenere qualcosa in quella classe vacci a muso duro”»
«La ragazza del letto numero dodici si svegliò presto.
Mattino d’estate. Nel dormitorio la luce tenera dell’alba filtrava insinuandosi attraverso le tende leggere; cominciava cautamente a dissolvere la notte; sollevava il buio dagli angoli, sfiorava i sogni ignari delle altre ragazze. Il loro russare lieve, tranquillo. Lei rimase stesa nel letto ancora un momento, ad ascoltarle. Cercò di distinguerle una dall’altra. »
«Non era una delle giornate migliori che Sandy Blair avesse mai trascorso. Il suo agente gli aveva pagato il pranzo, questo sì, ma ciò aveva compensato soltanto in parte il modo in cui l'aveva tormentato per il termine di consegna del romanzo. La metropolitana era piena di gentaccia e sembrò impiegare un'eternità per riportarlo a Brooklyn. La passeggiata di tre isolati fino all'elegante edificio in pietra arenaria che Sandy chiamava casa sembrò più lunga e più fredda del solito e quando arrivò sentì il bisogno disperato di farsi una birra. Ne prese una dal frigo, la stappò e salì stancamente le scale fino al suo ufficio al terzo piano, per poi trovarsi di fronte alla pila di fogli bianchi che, teoricamente, stava trasformando in un libro. Ancora una volta gli elfi scribacchini avevano fallito nel buttar giù qualche capitolo in sua assenza, anzi, pagina 37 era ancora infilata nella macchina da scrivere. Non c'erano più gli elfi di una volta, pensò Sandy cupamente. Fissò le parole con una certa avversione, bevve un sorso dalla bottiglia che teneva in mano e cominciò a guardarsi attorno in cerca di distrazione.»
«"Poiché sapevo bene da gran tempo sino a qual punto Sonomura, che peraltro ammette di essere affetto da pazzia ereditaria, fosse capriccioso, eccentrico ed egoista, ero ormai abituato alle sue stranezze. ma quel mattino quando ricevetti la sua telefonata non potei fare a meno di stupirmi. Certamente era fuori di senno. é soprattutto in questa stagione che la gente impazzisce. senza dubbio, pensai, questo giugno opprimente e afoso ha suscitato qualche strano pensiero nel suo cervello, inducendolo a farmi una simile telefonata. No, non mi limitai a pensarlo, ne ero convinto.
Saranno state circa le dieci del mattino quando mi telefonò. "Ah, Takahashi, puoi venire immediatamente a casa mia? Desidero mostrarti una cosa, ma devo farlo assolutamente entro oggi" mi disse con tono agitato, quando udì la mia voce."»
«Marzo
Attraverso i vetri screziati di brina osservavo il cielo sopra Parigi farsi vermiglio e scivolare lentamente verso tinte più cupe. Il rosa sbiadì nel grigio, fino a sciogliersi in un morbido blu. La cupola del Pantheon, così vicina, brillò di un ultimo riflesso dorato, come una scintilla che si spegne nell'oscurità. Per un breve istante desiderai restare, prendere gli acquarelli e cercare di afferrare quell'istante. Ma in un attimo le tenebre avevano divorato ogni sfumatura e non rimase altro, se non il quieto bagliore delle stelle, da immortalare su una tela.»
«Si può giustamente affermare, o Sereno, che fra gli storici e quelli che come loro professano la saggezza c'è la stessa differenza che passa tra i maschi e le femmine, nel senso che entrambi i gruppi contribuiscono in uguale misura alla vita sociale, ma i maschi sono nati per comandare, le femmine per obbedire. »
«Era quello un anno di grandi accadimenti, destinati a rimanere nella storia: Papa Wojtyla era scampato a un attentato, Lady Diana e il principe Carlo si erano sposati in mondovisione, l’IBM lanciava su mercato il primo personal computer e, finalmente, Achille Vicentini avrebbe avuto i suoi figli.
E guai a chiunque o a qualunque cosa avesse cercato di impedirglielo. Questa volta sarebbe andato a sbattere i pugni sulla porta del Paradiso o dell’Inferno, se fosse stato necessario, pur di ottenere ciò che voleva.. »
«“Sarei felice, se non fossi tanto triste. Com'è il tempo, là fuori? Pioviggina? Da qui non riesco a capire. Sarei così felice, se solo non fossi oppressa da questo dolore crudele. Alla fin fine, meglio così. Sto tornando dove avevo giurato di non tornare mai più. Niente mi lega a questo paese, e allora me ne vado, ma non lo avrei lasciato se mi avessero lasciato vivere. No, questo non è lo scrosciare della pioggia: è il mormorio del mare che si alza, si abbassa, si gonfia, si rilassa. Come farò a sopportare la tua pena quando mi vedrai? Mamma, avrei dato qualsiasi cosa pur di riabbracciarti. Non potrò fare altro che sopportare i tuoi singhiozzi, senza poterti stringere al petto e dirti: Sssst, tranquilla, mamma... ora sono qui con te, è passato tutto, il dolore è scomparso, ora sono qui e non devi più piangere. Ricordi? Me l'avevi promesso. Se restiamo insieme potremo superare tutto, il veleno dei pensieri, la slealtà del sole, perfino la freddezza della luna. Ma non potrò dirti neppure una parola, e io sola so quanto duro sarà quel momento.
Avevo deciso di non ritornare, per come mi ero ridotta e per come mi hanno ridotta. Mai e poi mai sarei ritornata. Resterò qui, anche se niente mi lega a questo paese. Sei testarda, non otterrai niente dalla vita. Proprio così, sono testarda, o meglio lo ero. Leila, non tornerai laggiù, se prima non ti sarai data almeno una ripulita. Durante il giorno il proposito si manteneva puro, limpido, definitivo. Quella che mi fregava, era la notte. Le poche notti in cui riuscivo a dormire come la gente normale, sognavo di tornare. Di tornare laggiù.
Sbarcavo dal traghetto, era un giorno di sole. Un sole che solamente laggiù puoi trovare. Un sole da far impazzire anche i pazzi. Sbarcavo e abbracciavo la mamma che si avvinghiava a me scoppiando in lacrime. Il suo corpo minuto al confronto del mio. Il suo capo appoggiato al mio petto. Leila...
Ssst, zitta, mamma... Hai visto? Sono tornata.
Leila...
Rimaniamo abbracciate. Intorno a noi, cani randagi rovistano tra rifiuti maleodoranti. Bambini dagli occhi meravigliosi si lanciano in corse indemoniate. C'è chi lancia le proprie valigie ai parenti in attesa. Di sgraffignarvi qualcosa. Poliziotti in uniformi sbiadite si grattano il culo osservando gli sbarcati con un pizzico d'invidia. La polvere fitta t'incipria le sopracciglia. Clacson isterici riempiono l'aria di strepiti arroganti.
Io e mamma continuiamo a stare abbracciate. Immobili. I suoi occhi nella mia anima e i miei occhi persi in quel giorno rovente. Ogni dannata estate, sogno di tornare laggiù. E al risveglio, ecco, sono felice. Giro lo sguardo intorno a questo spazio chiuso, cella del mio incubo. Ma la mia felicità resiste. Un giorno andrò incontro al mio Ritorno.” »