La vie en rose di Olivier Dahan

Creato il 16 dicembre 2011 da Spaceoddity
La vie en rose (2007, tit. or. La Môme), come lo spettatore italiano facilmente indovina, è un racconto della vita di Edith Piaf. Come ogni film biografico, vi si traccia un percorso che ritaglia una visione parziale, che può lasciare delusi o entusiasti: ma proprio la parzialità è un presupposto ineludibile, soprattutto quando il personaggio coesiste nell'immaginario del suo creatore e del pubblico al quale il ritratto è proposto. Nel caso specifico, Olivier Dahan, sia regista che sceneggiatore, focalizza l'azione sulla sua protagonista, spostando avanti e indietro le lancette dell'orologio tra l'infanzia, la giovinezza e la precoce, tragica vecchiaia dell'artista.
L'impressione è che si sia voluto puntare su un percorso che va dal disagio e della sofferenza della nascita fino all'autodistruzione della donna, nelle tappe di una vita altalenante e subita con passione e terrore. Ma l'intersecarsi continuo di momenti diversi dilata gli stati d'animo, ricostruisce un diagramma sentimentale ed affettivo a scapito di un'intenzione storico-biografica vera e propria. Edith Piaf (Marion Cottillard) viene ritratta con pennellate nervose e un tocco romantico, talvolta anche un po' melodrammatico.
Dall'infanzia su a Belleville (in una Parigi popolare, laida e sovreccitata), fino alla morte, attraverso frequentazioni equivoche, calunnie e problemi con la legge, la cantante emerge in tutta la sua fragilità fisica e personale. La piccola (môme, appunto), sperduta cantante, il passerotto (piaf in argot) dallo sguardo sempre sbalordito per quant'è grande il mondo e potente la sua voce, l'indimenticabile Edith Jeanne Mossion, salvata dalla strada e avviata alla professione del canto da Louis Leplée (Gérard Depardieu), non fa che lottare contro sé stessa e contro la sua vita. Con esemplare autolesionismo e una contrastante consapevolezza della sua fama, il successo di Edith Piaf sembra un capriccio della sorte, uno di quelli che la donna conosceva benissimo. A che serve, se no, essere il destino?
Mosaico di canzoni e di ricordi, come sul letto di morte su cui il passerotto stenta a ricomporre la sua esistenza, La vie en rose è il film di una vita che voleva essere straordinaria, ma che riesce a esserlo solo nel dolore e nelle passioni. Olivier Dahan sottolinea con intelligenza la nascita del personaggio e la sua costruzione a tavolino ad opera dei suoi ammiratori, in particolare di Raymond Asso (Marc Barbé). D'altra parte, la vita di Edith Piaf sembra scorrere anche su ben altri binari: l'amicizia viscerale con la problematica Mômone (Sylvie Testud), la relazione adulterina e tragica con l'aitante pugile (campione del mondo) Marcel Cerdan (Jean-Pierre Martins), gli eccessi nel bere e la droga costellano la sua vita come influenze astrali ora nefaste ora esaltanti.
La vie en rose è un bel film, ben girato con ottimi attori e con una cura notevole nei costumi, negli ambienti e financo in make-up e acconciature, tutte curatissime. Olivier Dahan ha lavorato su un film in cui si potesse riconoscere chiunque abbia sentito e amato Edith Piaf. La ricostruzione storica del periodo e dell'atmosfera è senz'altro lodevole e puntellata di episodi celebri, come gli inizi nel circo errante del padre (Jean-Paul Rouve) o l'incontro-consacrazione con Marlene Dietrich (Caroline Sihol), che - bontà sua - la amava con tenerezza e profondissimo rispetto. L'appassionato spettatore che si adegui a quest'opera di riassemblaggio insieme molto articolato e pedissequo della vita di Edith Piaf amerà molto La vie en rose di Olivier Dahan. Il film nel suo insieme apparirà forse lo sviluppo narrativo di Non, je ne regrette rien, ma senz'altro si fonda su idee valide e su una linea precisa per cogliere il personaggio: l'artista e la donna che diventa.

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