- il riconoscimento delle violenza domestica come un crimine punibile dalla legge;
- l’inasprimento della pena nel caso in cui la violenza domestica venga perpetrata in presenza di minori;
- il riconoscimento dello stalking come reato commesso anche con l’utilizzo di strumenti telematici e informatici;
- il diritto per la vittima di essere ammessa al gratuito patrocinio anche in deroga ai limiti di reddito;
- l’irrevocabilità della querela.
Personalmente l’ho sempre considerata come un cancro da estirpare perché, una volta insediato, difficilmente lo si riesce a debellare senza un aiuto esterno e, in maniera subdola e silenziosa dilaga, inquinando mente e corpo della vittima stessa. La violenza domestica è una forma di abuso di potere tra condizione impari all’interno di un nucleo familiare in cui l’abusato è fortemente ostacolato nella possibilità di intraprendere una via d’uscita. L’abusante esercita in modi diversi il suo potere rimarcando la propria superiorità sull’abusante in maniera violenta, violando ogni forma di rispetto e di libertà provocandone volutamente un danno. Caratteristica di questa forma di maltrattamenti è la ciclicità delle azioni violente e l’aumento della loro intensità. Esistono diverse tipologie di violenza domestica: la violenza psicologica è composta da un insieme di umiliazioni e insulti verbali (anche davanti a terzi) e fisici, minacce e intimidazioni (fare del male e persone care, rompere oggetti cari della vittima o oggetti regalati o abbinabili ai familiari o amici della vittima), ricatti , pressioni psicologiche, controllo completo della persona e allontanamento e isolamento dal mondo esterno o comunque da quelle frequentazioni che l’abusante considera rischiose per lui; lo stalking è un atto persecutorio che mina la libertà della vittima con azioni sistematiche e continue creando angoscia, ansia, tachicardia, attacchi di panico e di ansia attraverso telefonate, messaggi telefonici o su social, mail con contenuti di minaccia e di intimidazione che creano un alta pressione emotiva e psicologica, pedinamenti, appostamenti sotto casa, al lavoro e per quanto mi riguarda anche contatti a persona care alla vittima con tentativi di persuasione per cercare di raggiungere il proprio scopo; la violenza economica è una forma di controllo o privazione del denaro nei confronti della vittima che limita maggiormente la situazione di autonomia creando una forte dipendenza con l’abusante. Questa forma di violenza si identifica anche nella costrizione dell’assunzione di impegni finanziari e di abusare totalmente delle disponibilità finanziarie della vittima; la violenza assistita avviene in presenza dei figli che non necessariamente subiscono violenza diretta ma che assistendo a negative manifestazioni nei confronti di una persona cara, possono generare serie patologie evolutive e scaturire molteplici difficoltà sulla loro visione di famiglia, di relazione di coppia e creare serie difficoltà nei loro futuri rapporti sociali; la violenza fisica e sessuale è composta da manifestazioni corporee che possono essere calci, pugni, schiaffi, tirate di capelli, colpire con oggetti contundenti mentre quella sessuale tratta quegli atti imposti a sfondo sessuale contro la volontà dell’abusato. Mi preme sottolineare che queste forme di violenza non sono da considerare singolarmente in quanto difficilmente vengono attuate singolarmente ma al contrario, coesistono per rafforzare il controllo esercitato sull’abusato.
Cosa si innesca nella mente della vittima e quali sono le sue reazioni?
Il processo di dipendenza psicologica è un processo delicato ed accurato che si attua giorno dopo giorno aumentando d’intensità. In questo frangente non si possono considerare od elencare elementi che caratterizzano il soggetto abusato. Questo male ad oggi, è presente in tutti i ceti sociali e i casi patologici sono la percentuale minore. Bisogna, per quanto possibile, immedesimarsi nella situazione ma lo si può fare solo se la si conosce. In primis si deve tener conto che si è in una condizione di coppia quindi si presuppone ci sia dell’affetto e dell’amore reciproco (tralasciamo per non disperdersi in altri argomenti meritevoli di discussioni più approfondite la concezione di vero amore e di amore malato), magari dei figli e si presume ci siano dei progetti futuri e dei sogni da realizzare insieme. La donna che “cade” vittima di queste situazioni ha inconsciamente una visione errata di quello che dovrebbe essere un normale rapporto affettivo/amoroso e spesso l’origine di tale concezione deriva da traumi o mancanze avute nell’infanzia o nell’adolescenza che non necessariamente devono avere l’ombra di maltrattamenti, droga, alcool o violenza. Mi riferisco a ruoli genitoriali mal definiti, quando le figure della madre e del padre si confondono. Per farvi capire meglio, oltre alla classica visione del padre autoritario e della madre servile, esistono altre tipologie genitoriali confuse e destabilizzanti per un figlio: la presenza di una madre anaffettiva e di un padre mieloso che si prostra alle richiesta del figlio, oppure di una madre con un totale potere decisionale ed un padre accondiscendente, o ancora di situazioni in cui non vengono imposte regole basilari e contenitive durante la crescita o in cui vi è un forte disaccordo su di esse, peggio ancora se palesemente rese note davanti al figlio. In questo modo i genitori concorrono involontariamente alla formazione di un figlio che godrà, oltre che di una bassa autostima, di un’alta probabilità di instaurare rapporti impari e dannosi con il sesso opposto e quindi di essere facilmente preda di situazioni pericolose. Fatta questa doverosa premessa, quando si innescano circostanze inaspettate e si diventa sfogo di atteggiamenti critici, si attivano riflessioni irrazionali che la inducono a pensare di esserne la causa, di dover cambiare per evitarlo, di dover dare di più. La situazione peggiora quando si ha dei figli perché si introducono molteplici fattori facilmente riconducibili al fatto che la donna non vuole sciogliersi da quella condizione familiare, mirando a risolverla (credendo di poterlo fare) per amor suo e per amore del figlio che ha avuto con quel partner rivelatosi “impegnativo”. Le prime manifestazioni sono susseguite da pressanti ed ingannevoli scuse, talvolta da pianti e da dimostrazioni d’amore talmente plateali che innescano una sorta di pena da parte della vittima nei confronti del violento. E’ da questo momento che ha inizio quel rapporto malato di dipendenza reciproca che impedisce alla vittima di “tradire” il partner e all’abusante di fare a meno della sua valvola di sfogo. La donna rimane nella convinzione che prima o poi il partner riuscirà ad amarla così come ha sempre desiderato, in tal modo ogni suo sacrificio viene giustificato da questa mera illusione. Le violenze però, al contrario delle aspettative, non finiscono ma aumentano sia di frequenza che di intensità ed ecco che inizia la seconda fase, di forte depressione percorrendo quel processo di annullamento che vedrà il suo annientamento psicologico e fisico, l’apatia verso ogni cosa, la vergogna, il disinteresse totale verso se stessa, preoccupandosi soltanto di evitare ogni piccolo gesto che possa farlo arrabbiare. La sua esistenza entra in una specie di bolla e rimane sospesa per tempo indefinito. Inizia il silenzio assoluto, risponde solo se interpellata, il volto diventa inespressivo e spento. Cominciano gli incubi, l’insonnia, la nausea talvolta accompagnata da vomito, la tachicardia, il delirio. Perde completamente la concezione della realtà e viene risucchiata in una sorta di incubo che a volte può portare anche all’uso di sostanze quali alcool o droghe per cercare temporaneo rifugio. Piano piano diventa consapevole che tutto ciò non finirà mai, continuando a subire violenze di varia natura. Prigioniera in casa propria ed oramai priva di forza inizia la terza fase che può portare alla fuga o al continuo silenzio e quindi al progredire della violenza. La fuga può venire per mano di terzi o della stessa. La vittima ha “imparato a sopportare” e ha una così scarsa preoccupazione di sé che la porta a non interessarsi alla possibilità di essere di nuovo malmenata. La vittima sa che per quel motivo o per un altro, il suo destino in quella casa rimarrà lo stesso. Tenta quindi di fuggire o di chiedere aiuto non sapendo qualora vi riuscisse, a cosa andrà incontro: Stalking, morte? Il terrore che il vigliacco abusante ha di essere scoperto e infamato può portare a qualunque gesto. Quando invece la fuga viene innescata per volontà di terzi , grazie a quel minimo contatto con il mondo esterno che la donna ha avuto la fortuna di mantenere, si appella alla speranza di essere aiutata e al solo pensiero si sente più sollevata . Nella maggioranza dei casi le donne non sono nella condizione di poter denunciare o di chiedere aiuto e molto spesso pregano che qualcuno intervenga al loro posto (es. vicini di casa) mettendosi una mano sulla coscienza chiamando l’intervento dei carabinieri o rivolgendosi informando associazioni o enti specifici. Purtroppo per paura di ritorsioni o per timore di invadere la privacy altrui, per vergogna o per egoismo, preferiscono non farlo. Questo gesto invece può essere molto importante, a volte fondamentale, per permettere a quella donna di uscire da una morsa che la tiene stretta e “legata” dentro a quelle mura. E’ necessario quindi controllare, verificare e assistere per quanto possibile queste persone perché, anche se non chiedono aiuto direttamente, ne hanno un bisogno assoluto. Queste persone sono isolate, vivono nel silenzio, nella solitudine e vivono in un mondo irrazionale che non ha nulla a che vedere con quello che voi conoscete. Se la soluzione del problema già in atto è possibile solo tramite la vera conoscenza dello stesso, con questo articolo spero di aver contribuito ad un vostro avvicinamento. La sensibilizzazione collettiva parte anche da qui. Tacere significa permettere.