la visione d’insieme

Da Denait @denait

Immaginate per un attimo di trovarvi in un prato sconfinato. Una distesa di erba che continua a perdita d’occhio. Mentre camminate, all’improvviso vi imbattete in una sorta di solco nel terreno, di forma circolare, facciamo di un paio di metri di diametro, dal quale si dipartono un altro paio di solchi. Incuriositi, seguite uno dei solchi, e vi rendete conto che si tratta di un disegno. Un disegno che si estende per chilometri. Siete sempre più curiosi, ma dalla posizione in cui siete, è assolutamente impossibile avere una visione d’insieme che vi permetta di capire di cosa si tratta.

Immaginate ora di salire su una mongolfiera (bando alla taccagneria) e di alzarvi gradualmente dal suolo. Mano a mano che vi alzate, porzioni sempre più ampie di questo disegno vi saranno chiare, fino a quando, raggiunta una certa altezza avrete un quadro completo della figura. In quel preciso istante, avviene una sorta di illuminazione che completa il quadro nel vostro cervello.

Quanto avete appena letto, ammesso che non ve ne siate stufati prima, è una rapida descrizione di come NON si scrive un romanzo, ovvero partendo da una immagine singola, per ricostruirci attorno una storia. Come ogni scrittore dotato di senno sa, invece, prima si devono avere le idee chiare e farsi uno schema. Cosa che ovviamente io non faccio: vantaggi e svantaggi di essere uno wannabe.

A me tuttavia interessava parlare di quel momento fantastico in cui la storia, di cui vedevi solo dei pezzetti, ti si compone magicamente in testa. Il fili si intrecciano, i pezzi si incastrano, i personaggi prendono il via a fare le cose da soli, senza che nessuno dica loro niente. E’un attimo, in cui il cervello elabora tanta di quella roba tutta insieme, che  ti senti stordito ed incapace di capire come hai fatto a non capire prima quell’intreccio tanto semplice.

E’ un po’ quello che accadeva con  alcuni dei robottoni dei cartoni animati della mia infanzia: vari pezzi che si lanciavano in aria, iniziavano un balletto in cielo con sottofondo di musica truzza giapponese ed alla fine di una meravigliosa coreografia davano origine al mega-robot-della morte. E c’era un momento, un fantastico momento in cui appena tutti i pezzi erano al loro posto, il neonato robot si illuminava e si metteva in posa da battaglia. Roba da magone allo stomaco. Ieri, al mio romanzo è successa la stessa cosa.

“Miwa, lanciami i componenti! (cit.) “