Posso vestirmi: il medico sfoglia certe carte, ripeto la domanda più dolce che posso. Ho urgenza di coprirmi, almeno il reggiseno, il pube ha poca importanza nelle donne. L'infermiera nasconde la faccia sotto il trucco, la vestaglia è colma in modo sconcertante. E io così acuminata di fronte a lei e lei maneggia la mia orina, non lo sopporto. Ora viene il momento di parlare. Vedere se davvero sono in regola per partire militare, se ho mai avuto gravidanze, se ho abortito, se ogni mese sanguino com'è regola. Per la verità non potrei abortire nemmeno se volessi. Al mattino mangio pane e una tazza di tè a pranzo due fette di prosciutto a cena brodo di verdure e carote la domenica una fetta di torta se riesco a non ributtarla fuori. Sono quasi due anni che non sanguino, vado di corpo forse tre volte la settimana, per la visita mi sono trattenuta per guadagnare peso, mi è cresciuta una peluria castana sul labbro se mi sdraio sento il cingolo dell'anca sotto la pelle. Basta dire che va tutto bene. Il medico mi fa andare, sia a casa sia militare.
Così vado. La strada è sgombra è sera a parte due capocchie di spillo due fori luminescenti lungo la via di casa. Cosa saranno, mi fermo. Sono rimasti gli occhi sul ciglio, la testa la bocca stupita o forse solo rotta, la lingua sulla strada. I fanali hanno colpito la faccia e l'hanno abbagliata non so quante volte prima di me. Si è mosso finché non ho cercato di avvolgerlo in una coperta, ha tremato e si è fatto duro fra le braccia. Non so quanto sono rimasta nell'erba. Una macchina ha suonato, ho i piedi bagnati e addosso un odore che mi fa paura. Era un gatto rosso, adesso in un modo insopportabile. Strappo il certificato medico e vado a dormire col sangue addosso.
Giovanni Acci, Il crocifero