La vita de Adele, la nostra vita

Creato il 10 novembre 2013 da Annaaprea55

Ho ancora addosso l’emozione del film La vita di Adele di Abdellatif Kechiche, palma d’oro a Cannes 2013, che ho visto come sempre fuoricorso, dopo che tanti lo hanno già visto, già commentato, già amato.

Come il riflesso smisurato di una visione che non si dissolve anzi si rinchiude solitaria nei miei pensieri  e talvolta sfugge alle mie salde redini, la storia d’amore di Emma e Adele mi pervade: rapide occhiate, incontrollate, tornano e si ingigantiscono fuori e dentro me. Provo a dire perché.

La storia, per chi non la sa, è questa. Adele – che ha forse 15 anni – studia, frequenta il liceo e, come tutte le sue amiche, cerca e aspetta l’amore. Thomas le fa il filo, lei ci va a letto ma niente di quella esperienza le resta nella carne.  Incontra per caso Emma che presto diventa protagonista dei suoi sogni erotici. Grazie a un amico gay, Adele rintraccia Emma in un locale. L’incontro è travolgente. Le due si corteggiano, si baciano, si amano, si abbandonano a una intimità dolce e instancabile.

Adele si espone senza difese a questo amore,  si lascia travolgere e nel frattempo…cresce. Ci saranno tra loro incomprensioni, distanze, solitudine ma così è la vita, la vita di Adele, la nostra vita.

Il film è un flusso ininterrotto di coscienza. La macchina da presa fissa come un chiodo i volti delle due protagoniste, scava nel fondo dei loro occhi tanto a lungo e tanto profondamente che i loro occhi diventano specchi: di pianto, il nostro pianto, di desideri, i nostri desideri.

Lavora come un entomologo Kechiche, scava con la sua macchina da presa attraverso le fessure dell’anima, rileva ogni minima ombra, suddivide ogni minimo dettaglio: la bocca di Adele, la sua pelle, le lacrime che scorrono, gli sguardi di Emma, gli spasimi, i distacchi.

Ogni sfumatura di questo film ci investe, leggerezze e disperazioni, sorrisi e smarrimenti, complicità e i baci. Le confidenze e le sconfinate distese d’amore di Adele e Emma ci tengono prigionieri per tre ore consecutive. La violenza del primo piano è un cosmo che cattura e mai mai, neppure per un secondo, compiace lo spettatore perché si commuova, perché giudichi. No, non accade. L’omosessualità è solo una rientranza nel percorso del racconto.

I lunghi, infiniti corpo a corpo di Adele e Emma ci fanno penetrare dentro le fibre del loro amore. Cucite l’una all’altra, le due donne si danno piacere, oscillano, rallentano, si dissolvono in una forma azzurrina che pervade lo schermo, riempie lo spazio.

Come una scultura di Rodin, i loro amplessi sembrano fissati in una materia corporea palpabile, morbida, come è morbido l’amore allo stato puro. L’amore è come un istinto onnivoro che si celebra nel sesso ma anche nel gusto del cibo, che spesso ritorna in questo film (nelle abbuffate di spaghetti, nell’eleganza delle ostriche assaporate, sorseggiate, succhiate).

Non è solo, a mio parere, un vertice cinematografico La vita di Adele, è anche un meraviglioso racconto d’amore, quell’amore che tutto annulla, tutto comprende: la realtà,  il tempo,  lo spazio.
Bisogna vederlo, è importante.



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