La vita di Adele di Abdel Kechiche con Léa Seydoux, Adèle Exarchopoulos, Jeremie Laheurte, Catherine Salée Drammatico, 179 min., Francia, 2013
La protagonista è lei, Adele (Adèle Exarchopoulos). La telecamera è fissa sul suo volto, sul suo corpo. Già dalle prime inquadrature l’attenzione si concentra sulla bocca, sulle labbra aperte e carnose, i denti perfetti e imperfetti allo stesso tempo (bianchi candidi ma con gli incisivi un po’ pronunciati), gli zigomi rotondi e lisci, gli occhi nocciola. Kechiche si concentra poi sul suo corpo liscio, sodo, giovane. La narrazione diventa quindi un tutt’uno con il personaggio. Importa solo cosa Adele fa, dove va, cosa prova. Lesbica? Bisessuale? Una ragazza insicura e disorientata? Chi è la protagonista? Non lo sappiamo. Ma non è una resa. È proprio l’incessante ricerca della sua essenza che continua a scavarci dentro.
Certo, il prezzo che dobbiamo pagare è alto. Dobbiamo sopportare una trama scontata, qualche imprecisione narrativa di troppo, scene di sesso spinte sin quasi al ridicolo, scelte registiche alquanto discutibili: situazioni e personaggi inverosimili (soprattutto nel finale), il pube depilato che rendere Adele ancora più “bambina”, il continuo indugiare del regista sulla bocca schiusa, le gambe aperte ed il sedere mentre dorme a pancia in già. Kechiche sa come sfruttare a vantaggio suo e della sua opera i meccanismi del “morboso”: il voyeurismo delle scene di sesso, il processo d’identificazione con il personaggio e il suo grande portato di ambiguità (siamo veramente sicuri che si tratti di una storia lesbica?). È grazie a questo che il regista salva il film. Perché Adele tocca vette di bellezza che solo le donne dei dipinti di Francois Boucher erano riuscite ad incarnare. Voto: 8 su 10 (Film visionato il 30 ottobre 2013)Condividi questo articolo