Qui l’amore ha i capelli e gli occhi blu di Emma, un'eccentrica studentessa di Belle Arti che, col suo charme da creatura smaliziata, ammalia l'adolescente e inquieta Adele ancora alla ricerca di un'identità sessuale. Ma è irrilevante il fatto che le protagoniste siano due donne: il regista franco-tunisino Abdel Kechiche ci racconta una storia universale. Una storia sulla solitudine che l'incomprensione sempre genera? O una storia di incomprensione generata dall'irrimediabile solitudine che tutti ci governa?
Eppure, durante le lunghe e impetuose scene di sesso, girate magistralmente senza filtri e senza castigati sottintesi, le figure delle protagoniste sembrano liquefarsi in un unico corpo. E tutto appare possibile, inesauribile, niente e nessuno sembra poter scalfire quell'incanto, quell'appagamento. Ma leggere l'altro con gli occhi della passione è come sognare. E una relazione basata più sulla carnalità che su altre affinità presto o tardi è destinata a svigorirsi.
Adele è una ragazza semplice, di famiglia modesta, vuole fare la maestra elementare, ama gli spaghetti alla bolognese e il kebab e non sa quasi niente di Jean-Paul Sartre, di Egon Schiele, non sa disquisire su Gustav Klimt. Emma al contrario li conosce bene, è colta, facoltosa, ambiziosa, sa tutto sulle ostriche e sui migliori vini bianchi: due vite dissimili e lontane destinate fatalmente a restare tali.
Ispirato al romanzo grafico "Il blu è un colore caldo" di Julie Maroh, "La vita di Adele" è un film memorabile anche per merito delle due magnifiche attrici la cui disinibizione del corpo e dei sentimenti raggiunge vette difficilmente riscontrabili nell'ovvietà e nel dormiveglia di tanto cinema contemporaneo.
Kechiche, quasi sadicamente, entra dentro la loro visceralità interpretativa attraverso costanti primi piani usando perlopiù una cinepresa a spalla. Indimenticabili le loro lacrime mai stucchevoli, il loro sudore, lo sguardo sconfitto di Adèle Exarchopoulos, che fortuitamente si chiama come il suo personaggio. Indimenticabili i suoi rapidi sorrisi che spegnendosi subito fanno ripiombare il suo viso da bambina in una tristezza che conosce bene solo chi è consapevole del proprio ineluttabile fallimento. Forse necessario e formativo per iniziare con più consapevolezza a reinventarsi la vita.
Giampiero Cicciò