È la frase che la madre di un mio amico mi bisbigliò appena venuta a conoscenza di un male che pochi mesi dopo l'avrebbe portata alla morte.
Mi è sempre rimasta in mente, anche perché è una frase di grande confidenza, e corona una conoscenza e una frequentazione quarantennale.
Perché questo ricordo?
Perché in fondo, aldilà della drammaticità dell'episodio, spesso ci si trova di fronte a considerazioni di questo tipo, naturalmente quando non tutto va per il verso giusto.
Come se la 'vita' fosse un'entità esterna a noi che tutto governa, per chissà quali regole divine oppure terrene, oppure, come forse di fatto è, per quale casualità.
Più passano gli anni e più si fa l'incontro con le malattie, con le difficoltà, con la morte.
Tutte manifestazioni 'naturali', con le quali dobbiamo fare i conti tutti i giorni, senza distinzione di sesso e condizione economica, a cui dobbiamo inchinarci cercando solo di contenere i colpi.
Gli anni che passano tracciano dei solchi profondi verso il mondo che ci circonda, lasciando aperti spiragli di porte che gradualmente si chiudono.
Ma la 'vita' è comunque bellissima, ti incita a continuare, ti avvicina sempre di più a chi ami, ti lascia l'illusione di un sogno, di un progetto, di un cambiamento.
Poi, forse, un giorno, ti alzi e ti rendi conto che che tutto è finito, che le porte si sono chiuse del tutto, a quattro mandate, che i sogni sono solo quelli agitati nelle poche ore che dormi di notte, e che i progetti sono solo quelli che fai sulla carta.
Ma tant'è, perché sai di avere vissuto, di avere fatto tante cose, di avere gioito a lungo, e di avere pianto ancora di più, di avere amato e, soprattutto, di aver trovato negli occhi dei tuoi figli, l'infinito.
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