Finalmente un bel film italiano. Dopo una serie di prodotti che solleticano la fantasia televisiva del pubblico nostrano, infarcendolo di un qualunquismo che usa la risata come mezzo per dissuaderlo da qualsiasi iniziativa critica, ecco spuntare all’orizzonte il film che non ti aspetti, realizzato da un regista “alternativo” come Lucio Pellegrini, poco prima nelle sale con l’ennesimo rifacimento dei soliti ignoti, e qui pronto a raddoppiare con un'altra uscita che però si discosta e non di poco dalle sue esperienze precedenti. Film della maturità si potrebbe dire, se la parola non rappresentasse un ipoteca su un futuro ancora da scrivere, per la presenza di personaggi che con la giovinezza e le loro scelte sono chiamati a fare i conti. Ma soprattutto film con la “F” maiuscola per la volontà di costruire una storia che non si ferma al glamour dei suoi interpreti, Accorsi e Favino - come dire un pezzo importante della nouvelle vague italiana - all’effetto delle loro battute, e che soprattutto non usa il malessere della società per imbastirci sopra una serie di speculazioni di ovvio qualunquismo. La vicenda di Luca e Mario divisi da una donna ma soprattutto da una visione del mondo quantificata dalla distanza tra le strutture fatiscenti dell’ospedale africano gestito dal primo ed i corridoi asettici della clinica in cui opera il secondo, è il pretesto per fare il punto su una generazione che ha messo da parte amore ed ideali politici per trovare il proprio posto nel mondo. Così quando Mario con la scusa di aiutare l’amico si trasferisce in Africa, le ragioni di quella diversità ma soprattutto la natura delle loro personalità diverranno la chiave per un esperienza catartica, capace di portare a galla antiche ipocrisie risolvendole alla luce di un confronto giocato in una terra che non ammette vie di mezzo. Ambientato quasi interamente in un paesaggio africano che non diventa mai stereotipo, La vita facile smentisce il suo titolo presentandoci un’umanità perennemente in affanno, intrappolata in una dimensione di precarietà che seppur a diversi livelli, Mario impegnato a mantenere un tenore di vita al di sopra delle proprie possibilità e Luca medico senza frontiere e senza mezzi, si rivela l’unica costante in un pluralismo di caratteri ed aspirazioni. Enfatizzando il contrasto tra la vastità degli spazi naturali con i limiti degli interni borghesi oppure anteponendo lo stile di vita frugale ma sincero del personale impegnato nella missione umanitaria con quello affettato e di convenienza del mondo imprenditoriale, Pellegrini rende ancora più evidente la grettezza dei nostri tempi. Ma il vero capolavoro lo compie quando lavorando sulle psicologie dei personaggi (basterebbe pensare al personaggio di Ginevra ago della bilancia e punto di raccordo tra i due amici) permette alla storia di trasformarsi in una specie di thriller esistenziale dopo averci abituato ad un tono a metà strada tra il dramma e la commedia. Ed è proprio nelle sfumature dei toni, ben sintetizzate dalla complementarità caratteriale dei due protagonisti, Favino estroverso e farabutto, Accorsi ingenuo ed idealista, ma anche dalla comune debolezza (entrambi in un fuga, entrambi soggiogati dalla stessa donna) che La vita facile riesce a dirci qualcosa di diverso, a sollevarci il dubbio che forse è proprio nella comprensione della fallibilità che si nasconde la ricetta della nostra rinascita. Sbaglio quindi sono. E’ questa la nuova “eresia” a cui anche noi ci uniamo volentieri.
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