La vita privata di Freud

Creato il 23 marzo 2010 da Dallomoantonella

  

        

         

      

Sbirciando tra i Pensieri vari intorno la vita ed il pensiero di Freud…

(in base ai quali potremmo ricostruire l’edificio monumentale della sua personalità)

Ciò che mi legava all’ebraismo era – sono colpevole, lo ammetto – non la fede e nemmeno l’orgoglio nazionale. Infatti sono sempre stato un non credente, sono stato educato senza religione, seppure non senza rispetto verso quelle che si definiscono le istanze “etiche” della civiltà umana. Ho sempre cercato di reprimere l’orgoglio nazionale, quando ne sentivo l’inclinazione, come qualcosa di calamitoso e di ingiusto, spaventato dagli esempi ammonitori dei popoli in mezzo ai quali, noi ebrei, viviamo. Ma tante altre cose rimanevano che rendevano irresistibile l’attrazione per l’ebraismo e gli ebrei, molte oscure potenze del sentimento, tanto più possenti tanto meno era possibile tradurle in parole, così come la chiara consapevolezza dell’interiore identità, la familiarità che nasce dalla medesima costruzione psichica. E a ciò si aggiunge ben presto la certezza che soltanto alla mia natura di ebreo io dovevo le due qualità che mi erano diventate indispensabili nel difficile cammino della mia esistenza. Poiché ero ebreo mi trovai libero dai molti pregiudizi che limitavano gli altri nell’uso del loro intelletto e, in quanto ebreo, fui sempre disposto a passare all’opposizione e a rinunciare all’accordo con la “maggioranza compatta”.

Discorso tenuto ai membri della Associazione   ebraica  “B’nai-B’rith” il 6 maggio 1926

Se si dovesse fondare, cosa oggi fantastica, una facoltà universitaria di psicanalisi, vi si dovrebbero insegnare molte cose che si insegnano anche nella facoltà medica: accanto alla psicologia del profondo, che rimarrebbe pur sempre l’elemento di base, una introduzione alla biologia, nella misura più larga possibile la sessuologia, e cognizioni relative ai quadri clinici della psichiatria. D’altro lato l’insegnamento analitico dovrebbe comprendere anche materie estranee al medico e che questi non ha mai occasione di incontrare nell’esercizio della sua attività: storia della civiltà, mitologia, psicologia delle religioni e teoria della letteratura. Senza un buon orientamento in questi campi lo psicoanalista si trova smarrito di fronte a gran parte del suo materiale. Viceversa molto di quanto si insegna nelle facoltà mediche gli è del tutto inutile.

Testo tratto da “Il problema dell’analisi condotta da non medici”

Sì, con Einstein ho chiacchierato per due ore (…) E’ allegro, sicuro di sé, amabile. Capisce di psicologia quanto io capisco di fisica, la nostra conversazione è stata perciò molto piacevole.

Lettera a Sandor Ferenczi 2 gennaio 1927

Io sono uno dei suoi “più vecchi” lettori e ammiratori (…) A nome di innumerevoli Suoi contemporanei posso esprimere la certezza che Lei non farà e non dirà mai- le parole del poeta sono infatti azioni- cose ignobili o meschine; anche in tempi o in condizioni che rendono incerto il giudizio Lei saprà trovare la via giusta e saprà indicarla agli altri.

Lettera a Thomas Mann 6 giugno 1935

La mezz’ora che recentemente ebbi modo di trascorrere con Lei è stato un avvenimento di particolare rilievo per me, la cui eco non si è spenta ancora. La vicinanza fisica di una personalità storica è un’esperienza impressionante, che mi ha lasciato imbarazzato e angosciato. In Lei noi veneriamo infatti non soltanto l’uomo che ha riconosciuto le leggi dell’anima e le ha codificate per i secoli a venire, ma anche colui che ha rivoluzionato fin dalle fondamenta il nostro sapere e il nostro sentimento del mondo, come Copernico, Keplero o Newton. Sarei presuntuoso se mi mettessi a parlare della mia personale venerazione e riconoscenza e di come la lettura della sua opera sia sempre stata e sia tuttora per me un’esperienza sconvolgente.

Lettera di Franz Werfel a Freud 13 settembre 1926

Molti anni prima che ci vedessimo La stimavo come artista e come apostolo dell’amore fra gli uomini. Anch’io ho fatto ricorso all’amore degli uomini, non per motivi sentimentali o per un’esigenza ideale, bensì per motivazioni più sobrie, economiche, perché- data organizzazione delle nostre pulsioni e del mondo che ci circonda- sono stato costretto ad asserire che l’amore è indispensabile alla conservazione della specie umana, più o meno come la tecnica.

Lettera di Freud a Romain Rolland 29 gennaio 1926

Non sono stato viziato da onoranze pubbliche e perciò ho fatto in modo di poterne fare a meno. Non posso contestare, tuttavia, che il conferimento del premio Goethe da parte della città di Francoforte mi abbia molto rallegrato. Vi è qualcosa in esso che riscalda in modo speciale la fantasia (…) non potrò purtroppo venire a Francoforte per la cerimonia, per un’impresa del genere sono troppo fragile. Ma i partecipanti non perderanno nulla, giacché mia figlia Anna è certamente più gradevole a vedersi e ad ascoltarsi di me. Essa leggerà alcune frasi che trattano delle relazioni fra Goethe e la psicanalisi, difendendo gli analisti dall’accusa di avere violato, tentando di analizzare Goethe, il rispetto reverenziale dovuto ai grandi uomini.

Lettera ad Alfons Paquet 3 agosto 1930

Lo studio precoce e approfondito della storia biblica, iniziato appena ebbi imparato a leggere, ha avuto come potei riconoscere assai più tardi, un notevole peso nel determinare l’indirizzo dei miei interessi”

Da Autobiografia

Nella mia adolescenza mi fu raccontato che i cavalli selvaggi delle Pampas, i quali per una volta sono stati presi al lacci, conservano poi per tutta la vita una certa apprensione. Così, avendo io un tempo conosciuto la disperata povertà, la temo costantemente. Vedrai che il mio stile migliorerà e le mie idee si preciseranno quando questa città mi offrirà da vivere agiatamente.

Lettera a Wilbelm Fliess 21 settembre 1899

Quando avevo sei anni e mia madre m’impartiva i primi rudimenti, io ero tenuto a credere che siamo fatti di terra e che perciò dobbiamo tornare alla terra. Ma la cosa non mi andava e io misi in dubbio la teoria. Allora mia madre si stropicciò le palme (…) e a conferma della terra di cui siamo fatti mi mostrò le squame nerastre di epidermide che si erano staccate. La mia sorpresa per questa dimostrazione ad oculos fu immensa ed io mi rassegnai al fatto, che più tardi udii esprimere nella frase : “Sei debitore alla natura di una morte”.

Racconto di vita familiare di Sigmund Freud

E ora soltanto m’imbatto nell’esperienza della mia infanzia che manifesta ancor oggi il suo potere (…) quando mio padre incominciò a portarmi con sé nelle sue passeggiate e a rivelarmi nelle conversazioni le sue opinioni sulle cose di questo mondo. Così, una volta, mi fece questo racconto per dimostrarmi quanto migliore del suo fosse il tempo in cui ero venuto al mondo io. “ Quand’ero giovanotto – mi disse- un sabato andai a passeggio per le vie del paese dove sei nato. Ero ben visto, e avevo in testa un berretto di pelliccia, nuovo. Passa un cristiano e con un colpo mi butta il berretto nel fango urlando: “Giù dal marciapiede, ebreo!”

E tu cosa facesti?- domandai io.

Andai in mezzo la via e raccolsi il berretto”, fu la sua pacata risposta.

Ciò non mi sembrò eroico da parte di quell’uomo grande e robusto che mi teneva per mano.

Racconto di vita familiare di Sigmund Freud

E’ difficile stabilire che cosa ci importasse di più, se avessimo più interesse per le scienze che ci venivano insegnate o per la persona dei nostri insegnanti. (…) Li corteggiavamo o voltavamo loro le spalle, immaginavamo che provassero simpatie o antipatie probabilmente inesistenti, studiavamo i loro caratteri e formavamo o deformavamo i nostri sul loro modello. Essi suscitavano le nostre rivolte più forti e ci costringevamo a una completa sottomissione; spiavamo le loro debolezze ed eravamo orgogliosi dei loro grandi meriti(…) Nel corso della fanciullezza ci si appresta ad un mutamento in questo rapporto col padre, la cui importanza non sarà mai sottolineata abbastanza. Il fanciullo comincia a uscire dalla stanza dei bambini, ad affacciarsi al mondo reale; a questo punto scopre delle cose che scalzano la sua originaria ammirazione per il padre e determinano il suo distacco da questo suo primo ideale. Egli scopre che suo padre non è l’essere più potente, più saggio e più ricco della terra, comincia a diventare scontento di lui, impara a criticarlo e a valutare la sua posizione sociale (…) tutto ciò che nella nuova generazione appare denso di promesse, ma anche tutto ciò che essa ha di urtante è determinato da questo distacco dal padre. In questa fase del suo sviluppo ha luogo l’incontro del ragazzo con gli insegnanti. A questo punto possiamo capire il nostro comportamento verso i nostri professori del ginnasio. Questi uomini, che pure non furono tutti dei padri, diventarono per noi i sostituti del padre.

Psicologia del ginnasiale

Annibale (…) era stato però l’eroe favorito dei miei anni di ginnasio; al pari di molti coetanei, durante le guerre puniche avevo rivolto le mie simpatie non ai Romani ma al Cartaginese. Quando poi, nel ginnasio superiore, capii meglio che cosa vuol dire appartenere a una razza straniera, e l’atteggiamento antisemitico dei miei compagni mi costrinse a prendere una posizione definita, la figura del condottiero semita s’innalzò ancor più ai miei occhi. Annibale e Roma simboleggiavano per me adolescente, il contrasto fra la tenacia dell’ebraismo e l’organizzazione della Chiesa cattolica. (…) Credo di poter seguire ancora più indietro nella mia infanzia questa esaltazione per il generale cartaginese: anche in questo caso, quindi, si tratterebbe soltanto della traslazione di un rapporto affettivo preesistente su un nuovo oggetto. Uno dei miei primi libri che mi capitarono fra le mani appena imparai a leggere fu la storia del Consolato e dell’Impero di Thiers. Mi ricordo ancora di avere incollato piccole etichette col nome dei marescialli dell’imperatore sulla schiena piatta dei miei soldati di legno; e sin da allora Massena era dichiaratamente il mio preferito. (…) E forse lo sviluppo di questo ideale guerriero può essere rintracciato ancor più indietro nella mia infanzia, sino ai desideri suscitati in me da un rapporto, ora amichevole ora bellicoso, ch’io ebbi, nei primi tre anni della mia vita, con un compagno di gioco maggiore di un anno e più forte di me.

Da “L’interpretazione dei sogni”