“(…) non è arte, è una sommessa apocalisse
d’abisso formidabile
e vati oscuri.
In qualche modo
è tra i misteri più duri.”
Con questi versi, tratti dalla poesia che apre la raccolta “La voce delle cose”, Carla de Falco si presenta al lettore nella sua veste più artistica e intima: “ Nelle parti più remote del mondo /nelle pagine d’appendice / c’è un poeta triste”.
La poesia si veste dei suoi abiti più veri e ci racconta di lei, del suo compito e degli strumenti che utilizza. Un mondo di colori, odori, voci e fotografie, mantenuto sveglio dai giochi di ombre di ogni anima umana. La de Falco si fa quindi portavoce di una realtà per nulla passiva, che esprime se stessa giocando con i misteri, i sussulti e i simboli.
La raccolta si apre con l’ “Ouverture” nella quale l’autrice ci offre un “dono” disinteressato e non famelico di gradimento, ma memore di glorie poetiche passate, che si nutrono dell’eternità che hanno conquistato.
“e quando i poeti ancora avevano / la forza della tigre nell’atto della caccia / con il soffio della speranza tra le vele / abbagliavano di luce l’orizzonte. (…)”