La volontà non conduce lontano

Da Marcofre

Ma la buona volontà, da sola, non può condurre alla creazione di un buon romanzo più di quanto possa dipingere ad acquarello o cantare Mozart.

Eudora Welty scrisse questa frase per rispondere a un interrogativo a proposito del romanziere alle crociate. Vale a dire: bisogna scrivere per una buona causa? Impegnarsi?

Il bello di certe affermazioni è che possono essere applicate ad altri ambiti, senza perdere nulla della loro forza. La storia, che sia breve o lunga, racconto o poderoso romanzo, non ha bisogno “solo” di volontà. O meglio: ce ne vuole se ci si imbarca in una faccenda da 400 pagine, o anche più. Benché io creda che sia necessaria una dote come l’organizzazione, invece della volontà. Ma non sono così esperto.

La volontà se impiegata (troppo) nella scrittura, rischia di condurre sulla strada sbagliata. Più passa il tempo, e più mi rendo conto che la riflessione, e l’indagine scrupolosa dell’incipit che si è riusciti a produrre, sono capaci di risultati insperati.

Se capita, e capita eccome, di finire in un vicolo cieco, la volontà ti dirà: “Orsù, usa la testa. Abbatti a zuccate il muro, e passa dall’altra parte!”. E un qualche risultato si ottiene, e spesso se ne è fieri. “Sono una persona tutta d’un pezzo io, che non si arrende mai”.

Ammettere invece che si è in errore, che si è imboccata una strada sbagliata ed è indispensabile ricominciare, o almeno gettare via un bel po’ di roba che magari è costata impegno e fatica, non è da tutti. Riesce soltanto se si ha a cuore la storia; ma se propagandare le idee è lo scopo, un simile passo indietro avverrà con molta difficoltà.

La storia è una narrazione. L’azione non è nello sviluppo frenetico di scene o eventi, in un montaggio quasi sincopato delle scene, in modo da non dare respiro al lettore. Ah, è vero: sembra che ci siano romanzi così, costruiti con queste caratteristiche.

L’azione è nella manifestazione di una volontà, forse del protagonista, forse delle forze che si sono messe in moto attorno a lui, senza che questi ne abbia ben chiara l’esistenza, lo scopo.

A me pare che riuscire a renderla visibile, chiara e convincente, sia un’impresa mica da ridere. Che cosa c’è di più grande e ambizioso di questo: rendere visibile quella volontà che agisce? Che costringe il protagonista a fare i conti con qualcosa? Poco o nulla, a mio modo di vedere.

Certo, ciascuno faccia quello che vuole.


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