Concertino jazz. E insieme di musiche tradizionali africane. Senegalesi, anzi. A me sembrava strano, perché non capisco niente di musica, eppure è così. Il sax è opaco, bellissimo e cristallino. La batteria è composta da tamburi rivestiti di stoffe. C'è un basso, in alto a destra, altri tamburi, una tastiera e, al centro, illuminata dalle luci: una zucca.
Anzi, uno strumento-zucca, di cui non ho avuto il coraggio di chiedere il nome, la provenienza. Perché nessuno parlava e c'era solo musica dolce e ipnotizzante.
Sulla superficie della zucca si intagliavano due aperture da cui svettavano le canne e cui si legavano le corde sottili e luccicanti. Suonavano come un'arpa, simili a un'arpa celestiale, anche se eravamo tutti vivi e con i piedi sulla terraferma.
Guardavo tutto il tempo la zucca, bevendo una birra fresca, media, chiara. Non pensavo a niente, perché non credo alle magie né agli incantesimi. Dunque mi sentivo una qualsiasi spettatrice a un qualsiasi concertino che passa un qualsiasi normalissimo quieto leggero venerdì sera con il fidanzato, staccando per un momento dalla quotidianità del lavoro-casa-commissioni-progetti-pensieri-speranze-cucinare-lavare-dormire-svegliarsi etc. etc.
Eppure, la zucca. Io non credo alle magie, né agli incantesimi, né ai sogni, né ad altro. Credo nei locali carini di Torino, nel parrucchiere, nel ricordarsi di scrivere le cose sull'agenda e nel caffè del mattino.
Eppure, per un attimo. Dalla zucca uscivano suoni, prodotti dalle mani di un normale uomo senegalese (con le treccine, figuriamoci, niente di più prevedibile e rassicurante). Eppure, non lo so, per un attimo, un secondo minuto, piccolo e privato, al punto che mi sono guardata intorno e nessuno si era accorto di nulla. In quell'attimo, da quella zucca, da quelle corde bianche, dalle canne lucide di chissà quale legno pregiato è uscito qualcosa, una nota che non esiste, che io non capivo, simile a una parola, ma anche a un respiro, uno scampanellio gentile, la breve, insospettabile apparizione di un messaggio silenzioso.
Il significato non c'era, era anzi solo di stare sicuri che la perfezione esiste, e si trova qualche volta dentro una zucca. In un locale qualsiasi di Torino: e che è inutile pensare il contrario, inutile però anche illudersi di afferrarla.
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