La Zumpata (diversa dal “dichiaramento“) era una sorta di duello rusticano al coltello (detto nel ‘600 “smagliature” e nell’800 “sfarziglia”) di cui la “tirata”, o battesimo del sangue, dei camorristi era una sorta di raffigurazione. I camorristi del resto avevano, già col “dichiaramento”, l’ambizione di imitare la procedura cavalleresca nobiliare. Impiegando il coltello piuttosto che la spada cercavano di dimostrare il loro “valore” in questa sorta di scontri.
La zumpata richiedeva dai contendenti una conoscenza profonda della scherma, un’agilità da gatto, una estrema rapidità di movimento una leggerezza da ballerino e una sicurezza d’occhio che si conquistavano solo dopo lungo e faticoso allenamento.
Una zumpata era come un balletto. I due contendenti piccoli e magri, raggomitolati su loro stessi, “ramassés”, per offrire all’avversario il minimo bersaglio si giravano intorno saltando sulla punta dei piedi (“zumpanno”), spiandosi. L’affondo doveva essere rapido come lo scatto di una molla, come la zampata di un gatto.
Ma ecco una zumpata descritta dal maggiore poeta napoletano del ‘600, Giulio Cesare Cortese:
“Se vedono, s’affrontano, e s’accostano,
rideno, se salutano, e se chiammano.
Se toccano le pratteche, e se mostano
ntrepete; po s’arraggiano e se sciamanno.
Se votano, s’allargano e se scostano
se stregneno, se mmestano, e s’arrammano.
Se zollano, e le coppole s’ammaccano.
S’abbasciano, po’ s’auzano, e se tirano,
se stizzano, se fermano, se scornano,
mo sciatano e se posano e retirano;
p’accidere e pe bencere po’ tornano.
S’acconciano, po’ passano, e se mmirano;
po’ jettano li fodere, e sferreiano,
se pesano, se pogneno e stroppiano.
Qualunque coreografo riconoscerà in questi versi lo schema di un balletto. Non si può naturalmente escludere che la zumpata dei camorristi e dei guappi abbia risentito di influenze andaluse e gitane.