Come più volte ho detto, Alessandria la pigra, ha una scarsa identità gastronomica e pochissimi sono i piatti che possono dirsi chiaramente locali. Quindi anche la zuppa di cui vi parlerò oggi, è in effetti comune a molti altri luoghi. Per me, però, ha una valenza del tutto particolare, in quanto è uno di quei famosi piatti che fanno dire all'uomo italiano classico "Ah, come lo faceva la mia mamma..." e via con gli occhi sognanti volti direttamente al cielo e assolutamente invisi alle mogli. Sarà per questo desiderio imperioso di risentire i sapori del'adolescenza che alcune ricette vengono bandite definitivamente da molte case. Ma poiché da tempo disturbavo la quiete familiare con il ricordo di questa "fagioli e ceci alla salvia" e dato che, saltate le ricorrenze dei morti, unico periodo in cui, a rigore e filologicamente il piatto aveva senso, ho continuato a belare la mia carenza di affetto culinario fino all'insopportabilità, la cosa è stata presa in mano d'imperio e come da indicazioni, mi sono stati procurati gli ingredienti per ricostruire questo pezzo di passato che da troppo tempo mancava all'appello. Quindi ecco due bei sacchettini, rispettivamente di ceci della Merella e di fagioloni bianchi di Spagna (in alternativa potete usare il Cannellino, ma non il Borlotto), pancetta tagliata spessa (non mi hanno trovato le più opportune cotiche di maiale), due croste di parmigiano che ho serbato con cura meticolosa dal sacchetto dell'organico e salvia in quantità.
Ho messo religiosamente a bagno il giorno prima 250 gr di ceci e 150 di fagioli con un bel cucchiaio di bicarbonato e loro sono rimasti lì tutta la notte, ad assorbire acqua per ritornare alla vita ansiosi di partecipare alla festa, come veri ospiti d'onore. Al mattino presto, verso le 9, in casa si sono dematerializzati tutti, con scuse varie, accampando impellenti necessità di dover andare addirittura in altre città per l'intera giornata, per potersi chiamare fuori da quanto sarebbe accaduto. La cucina è stata quindi completamente nelle mie devastanti mani! In preda ad un furore gastroculinario di cui non mi facevo capace, ho scolato i legumi con cura passandoli in farina bianca. Ho sbucciato qualche fagiolo per convincerlo a lasciarsi andare, disfacendosi nella pentola per meglio addensare il brodo. Ho poi tagliato finemente mezza cipolla rossa facendola colorire in un cucchiaio di olio EVO, sul fondo di una pentola di terra, eredità materna che giaceva negletta ed inutilizzata sul fondo della madia. Già questo riportarla all'onore del fornello l'ha resa più gioiosa e felice di contribuire a questo revival e ben disposta alla collaborazione. Fatto il cosiddetto strafric, ho aggiunto i dadoni di pancetta, che avevo nel frattempo tagliato con regolarità, fino alla loro doratura completa. A questo punto la massa dei legumi non resisteva più dalla voglia di unirsi alla compagnia ed in un impeto partecipativo si è gettata nell'agone con gioia, mescolandosi al fondo sfrigolante.
Ho coperto d'acqua, aggiunto le ghiotte croste di parmigiano ben ripulite, tre cucchiai di olio e abbondante salvia, portato a bollore e quindi ridotto a fiamma debolissima, perché il tutto, opportunamente rimestato di tanto in tanto per non fare attaccare al fondo e per controllare il livello del brodo, rimanesse a consumarsi adagio adagio in una assoluta fase meditativa. Ho indegnamente aggiunto un dado da brodo per insaporire e poi sono rimasto lì a respirare piano per tre ore, per non disturbare quel delizioso blob blob che lentamente fluiva in piccole bolle dalla superficie sempre più densa all'interno della pentola, scrigno fatato in cui andava addensandosi con cura il filtro d'amore più delizioso che mente umana abbia potuto concepire. Non ho salato, essendo il tutto già saporoso a sufficienza grazie agli ingredienti. Poi, quando la salivazione cominciava a diventare importante, ho tagliato fette di medio spessore di un pane molto croccante a crosta sottile e ben lievitato, le ho messe in forno per una leggera abbrustolitura e dopo averle fatte solo lievemente sfiorare da una passata di spicchio di aglio, una amorosa carezza materna che stringa il cuore e allarghi lo stomaco, le ho disposte con cura in fondo al piatto, dove, dopo un attimo sono arrivate le mestolate bollenti della più densa, dorata, pastosa, ghiotta e seducente zuppa su cui occhio umano si sia mai posato. Ah, quel delizioso e lento diffondersi dello spesso e ambrato liquido a conquistare con cura ogni interstizio del pane, avvolto ed ammorbidito in un bollente abbraccio amorevole. Ah, il grato e antico profumo di salvia arricchito dai grassi dell'amico suino, mentre i pezzi di crosta ormai molli e gommosi rilasciavano effluvi di sapore antico e appagante!
Ancora un goccio d'olio a crudo e abbondante pepe nero al mulinello, pioggia mistica per rendere il piatto ancor di più mordente ed aiutarne la digestione finale. Ah, aver avuto un pur minuscolo pezzetto di tartufo nero da aggiungere al sabba; ho dovuto accontentarmi di ungere il pane di olio profumato di questo fungo regale, miserabile succedaneo, che pur in qualche modo ha potuto fungere allo scopo. Quasi non ho potuto gustare appieno quel primo piatto tanto è stata l'ingorda foga che mi ha costretto ad ingozzarmi, se pur ancora fumante e ancor bollente, senza badare alle ustioni del cavo orale. Ma tale era il desiderio recondito che questi furono particolari di poco conto, Il secondo piatto è stato avvicinato con maggiore ponderatezza e assaporato meglio nei suoi sentori complessi e misteriosi; il terzo poi, ha potuto consegnare ai recettori sensazioni più nascoste ed appaganti, quasi uno studio più accurato per preparare la mente ad una successiva e più profonda meditazione che mi ha impegnato per il resto del pomeriggio fino a sera, consegnandomi ad un appropriato ed appagante torpore cognitivo in cui sono stato sorpreso, complice un buon dolcetto d'Ovada, più tardi al rientro del resto della famiglia indignata. Ho saggiamente surgelato il poco che è rimasto, per potermi soddisfare un giorno che verrà, quando l'inevitabile crisi di astinenza, sopravverrà infine a cogliermi, non impreparato.
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