Laboratorio di Narrativa: Giovanni Parigi

Creato il 21 febbraio 2012 da Patrizia Poli @tartina

Un linguaggio volutamente lineare - quasi da cronaca giornalistica, nonostante il passato remoto - trattiene a tal punto il pathos, in “Cuore di cristallo” di Giovanni Parigi, da oscurarlo. Breve, incisivo, fotografico,commemorazione accorata di una vita per l’arte, serie d’immagini in sequenza che descrivono le fasi di un’esistenza senza tempo, generosa nella sua danza perenne,simbolo dell’artista nell’anima,che nonrinuncia al palcoscenico, ma resta sulle scene della strada fin quando il suo “cuore di cristallo” non si frantuma e quelle membra, un temposciolte dalla gravità”, si irrigidiscono nel definitivo abbandono del suo balletto senza fine.

La ballerina detta Cuore di Cristallo passa da una luminosa carriera artistica a un palcoscenico solo umano, incarnazione della solidarietà con i bisognosi cui ella non è mai venuta meno anche nei suoi momenti migliori. Abbandona le scene, si sposta in piazza, condivide gli stenti dei “ballerini della vita”, si trasforma con l’età, muta i suoi passi in “movenze” da automa di carillon. Alla grazia flessuosa sostituisce il “rigor mortis”, in questo ultimo atto, in questa morte del cigno conclusiva e irripetibile. Il cartone che copre il cadavere porta, all’altezza del cuore, la scritta fragile, come fragile, diafana, eterea, è la protagonista, che attraversa la vita senza quasi posare i piedi per terra, come se non fosse di questo pianeta ma appartenesse solo al delicato, effimero, mondo dell’arte.

Patrizia Poli e Ida Verrei

Cuore di Cristallo

Si chiamava Maria Ranieri, ma per tutti era Cuore di cristallo, la ballerina di danza classica trovata morta in un parco della periferia milanese. Con lei se ne andava la più lunga stagione di balletto che la Scala avesse mai conosciuto. Infatti, dopo la strepitosa carriera, Cuore di cristallo non aveva mai smesso di danzare, sebbene avesse cambiato palcoscenico eleggendo Piazza Duomo a sua nuova scena. Ma facciamo un passo indietro.

Fu ribattezzata Cuore di cristallo dalla critica, dopo aver danzato sulle arie di un’omonima opera. Fino allora semisconosciuta, conobbe il successo non più giovanissima e lo visse con tutto il suo impegno professionale, che la portò nei più importanti teatri del mondo. Figlia di un ferroviere e di una casalinga, non dimenticò mai le sue origini, vivendo la notorietà con garbo ed equilibrio. Impegnatissima nel sociale, fintanto che cavalcava l’onda del successo si prestava a ogni richiesta che la vedesse testimonial di campagne in aiuto dei più bisognosi, guadagnandosi le simpatie del grande pubblico, oltre che quelle, già acquisite, della critica.

Raggiunti i limiti di età che segnano la fine della carriera di una ballerina, si ritirò dalla scena con il massimo riserbo e dopo pochi anni, ancora nubile, fece dei parchi milanesi al sua dimora, dividendo con i clochards la vita di stenti e le mense della Caritas. Nessuno ha mai saputo il perché di quella scelta. In molti dei suoi innumerevoli amici e fans cercarono di farla desistere da quel proposito assurdo, ma dovettero rassegnarsi saputo che si era disfatta anche di tutti i suoi averi donandoli a quelli che lei chiamava “i veri ballerini della vita”, i clochards appunto.

Ma, come abbiamo detto, non abbandonò mai le scene, aprendo, appena giungevano le calde serate d’Estate, la sua personalissima stagione di balletto in Piazza Duomo. Non c’erano più i riflettori a illuminarla, ma i lampioni pubblici; non più i loggioni, ma la scalinata del Duomo accoglieva gli spettatori. Orchestre di fama internazionale furono sostituite da artisti di strada che ben volentieri accordavano i loro violini e le loro chitarre con i passi di danza di Cuore di cristallo.

Agli inizi di questa sua nuova carriera il pubblico era entusiasta e i giornali non mancavano, come ai tempi della sua carriera da professionista, di dare notizia dell’imminente apertura della stagione di ballo all’ombra della Madonnina. I suoi ammiratori accorrevano numerosi e si mescolavano con il pubblico occasionale e i turisti, che non mancavano di fermare la scena con i loro flash. I primissimi anni il comune di Milano mise addirittura insieme un’orchestra composta dai più bravi studenti dei conservatori della città, pur di tenere vivo uno spettacolo di cui parlava sia la stampa nazionale sia quella estera.

Inesorabilmente, però, il tempo esauriva i granelli di sabbia che componevano la clessidra della vita naturale e professionale di Cuore di cristallo. Ogni anno il repertorio dei passi di danza si riduceva, come si riduceva il pubblico. I suoi movimenti apparivano via, via sempre più anchilosati, fino a che si ridussero a movenze scimmiesche che la resero uno spettacolo comico che suscitava risate e battute, talvolta pesanti. Molti, che non ne conoscevano la storia, gli passavano accanto considerandola pazza, mentre tutti coloro che per esperienza diretta o per sentito dire la conoscevano provavano sentimenti ora di compassione, ora di sdegno verso l’amministrazione che non impediva a quella povera vecchia di esibirsi. C’è da dire che alcuni dei suoi più affezionati fans non l’abbandonarono mai e, loro malgrado, si fecero custodi di quella raminga stella agli ultimi bagliori, che i più giovani non esitavano a prendere in giro imitandone non più i passi, ma le movenze. Talvolta si sfiorò addirittura la rissa tra coloro che non l’avevano mai dimenticata e coloro che non l’avevano mai conosciuta.

Era un Sabato d’Autunno inoltrato quando i netturbini trovarono il cadavere di Cuore di cristallo. Il rigor mortis aveva completamente vinto quelle membra un tempo quasi sciolte dalla gravità. Giunsero Carabinieri, Polizia, giornalisti, fans, curiosi e gli addetti all’obitorio che, prima di caricarla su un furgone con maniere spicce, tolsero il cartone che aveva su di sé come coperta e la ripulirono dalle foglie con cui amava coprirsi. Il giorno stesso e l’indomani la notizia comparve su tutti i media, che dettero conto di ogni particolare della sua vita, ripercorrendone tutte le tappe. L’eco della sua morte giunse anche all’estero, ma nessuno notò la scritta che compariva all’altezza del cuore sul cartone che la copriva: FRAGILE. HANDLE WITH CARE

Giovanni Parigi


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