È nel ritorno alla concretezza terrena di un passato ormai remoto, e nel contrasto fra il pungiglione letale e la lieve ala di farfalla, il nucleo d’interesse di questo testo piuttosto scontato come tema e certamente scritto con poca cura.
Patrizia Poli e Ida Verrei
UN VOLO AZZURRO DI FARFALLE
Decise di riposarsi qualche minuto, all’ombra degli ulivi.
Pian pianino si poggiò prima sulle ginocchia e successivamente sul busto, adagiandosi sul fianco sinistro. Ancora un profondo respiro, benché pesante e faticoso, e si stese lungo lungo, supino.
Con le spalle aderenti all’erbetta fitta fitta, come la sua barba da ventenne, assaporava l’arietta che spirava in soave beatitudine.
Là, in mezzo al suo uliveto non si sentiva solo. Le foglie argentee mormoranti dialogavano con Pedru. Si colorivano le gote ricordando le fatiche della raccolta a una a una, delle piccole lucenti bacche rigonfie che empivano i sacchi di iuta, di viola variopinto, spruzzato ancora d’acerbo, di verde pisello, e di aroma amarognolo del succo di cui erano ripiene. Sentiva l’eco delle risa dei bambini scorrazzare in lungo e in largo per il prato e sulle piazzole che lui aveva ripulito per facilitare la raccolta. Ricordava i rimproveri per le loro distratte invadenze, autoritari, arrabbiati, ammonenti, ed a volte anche buffi perché comprensivi del piacere di vedere le birbe vispe che si sarebbero presto fatte strada nel mondo.
E com’eran sciolte le sue membra quando si arrampicava sui rami intricati! Una scimmia. Sì, di quelle che vedeva spesso nei documentari in tv.
Quanti ricordi! Quanto rimpiange quei giorni impegnati, infiniti. Quei giorni saturi di gioia faticosa.
Poi, aveva dischiuso per un attimo gli occhi sopiti, e sorpreso, si era trovato davanti una grossa ape, gialla e nera che si stava pericolosamente avvicinando al suo naso. Non ha paura. Non ha mai avuto paura degli insetti. Che contadino sarebbe! Ma si vuole scostare. Sa di essere allergico ai lepidotteri, e non ha con sé il farmaco che dovrebbe usare nel caso che quell’animaletto col pungiglione lungo lo pungesse.
Puntellava il gomito sulla terra fresca, cercando di darsi una spinta e sollevarsi. Ma da tempo immemore è lento nei movimenti e l’ape affamata, invece zigzagava veloce. Pedru, per quanto s’impegnasse non riusciva a rialzarsi da quella posizione. Si sentiva inerme contro quella piccolissima ape. Quello era stato uno di quei momenti che gli serviva compagnia.
Ma lui era solo e i suoi amici ulivi non potevano aiutarlo. Muovendo i rami, mormoravano anche loro come Pedru, l’impotenza nel vederlo ormai terrorizzato.
Mariuccia, la sua amorevole e a volte anche stizzita moglie, se n’è andata da tanti anni. Era senz’altro in cielo a guardarlo, perché lo sapeva di avere un marito bisognoso di cura. E Pedru, ne è certissimo, lei sapeva quanto lui si sentisse solo. Senza di lei, le sue minestre, i suoi panni profumati di bucato e senza quelli che erano stati i loro bimbi vivaci. Oramai, anche loro avevano bambini e ragazzi da seguire. Non avevano tempo per occuparsi del loro papà.
Forse a causa della tensione che lo aveva ormai fiaccato, con la sua mente stanca gli parve di vedere una farfalla davanti a sé e sentire il frullo delicato delle ali. Per sua fortuna non sentiva più il ronzio fastidioso dell’ape dal grosso pungiglione famelico, che prima l’aveva tanto, tanto preoccupato.
Batteva le ali leggerissima. Che meraviglia quel colore azzurro del cielo a primavera. Di scuro aveva solo i bordi frastagliati delle ali, con inserti qua e là, di bianco candido.
Si avvicinava a lui sempre più, tanto da sentire l’aria muoversi fievolmente, carezzandoli il viso.
Sbatté le palpebre sbigottito, quando vide che non era più una sola farfalla che lo rinfrescava, ma uno stuolo di esse, di ogni grandezza. Dalle più grandi fino a quelle che paiono miniature di esse.
Ma tutte dello stesso colore che Pedru vedeva stupende e confuse con lo sfondo del cielo.
Ben presto si sentì tonificato da cotanta beltà e leggerezza, e i suoi arti ripresero vigore man mano, fino a sentirsi sollevare in alto in alto. Si sollevava, finalmente senza la ruggine dell’artrite, senza l’affanno dei polmoni e persino con la vista più netta.
Da quanto tempo non si sentiva così bene? Un’eternità.
Sta così bene assieme a tutto quel svolazzare, come se stesse nuotando in mezzo al mare, in assenza di peso. E’ così avvolto dalla piacevolezza, dimentico di tutti gli affanni e i dispiaceri, quando vede una donna che gli viene incontro allargando le braccia come per abbracciarlo.
<Mah; mah; è lei! La mia Mariuccia>
Sì è proprio lei che si precipita su di lui e lo stringe al petto coccolandolo.
<Siediti mio adorato, siediti>
<Dove? Se sto volando come faccio a sedermi?>
È davvero proprio confuso. Non ci capisce più niente.
Volge lo sguardo attorno, dove la sua cara dolce moglie gli sta indicando e vede un posto meraviglioso. Un ampio stanzone e da un lato un enorme ottomana, con cuscini morbidissimi bianchi di quelli che aveva visti solo nelle illustrazioni delle riviste, con dietro degli stupendi quadri stracolmi di foto dei suoi famigliari. Dei figli, dei nipoti, della sua mamma, di suo padre e finanche le foto di tante sue zie che aveva quasi scordato. Dall’altra, una meravigliosa tavola imbandita coperta fino a terra da una tovaglia dorata. E quante leccornie! Una più golosa dell’altra.
<Ma come ci sono arrivato in questo posto straordinario?>
Mariuccia non risponde a quella domanda e insiste nel farlo accomodare a tavola.
<Su su, siediti. Devi rifocillarti dal lungo viaggio mio caro. Ho preparato mille cose quando ti ho visto arrivare. Anche le tue preferite>
< Ma come! Spiegami>
Ancora non si capacita Pedru, mentre accosta la sedia alla tavola imbandita e Mariuccia lo aiuta a sistemarsi.
Ma non c’è bisogno, lui si sente proprio bene e in forma come non mai.
Spizzica qua e là, indeciso dalla troppa abbondanza di pietanze, poi segue lo sguardo compiaciuto della sua donna che punta un piatto in particolare.
<Oh noooo. Le fave con il lardo! Non ci posso credere! Ma dove le hai trovate? Oramai non le cucina più nessuno queste cose, neppure tuoi figli Mariuccia! Tutti sono a dieta. Vogliono mangiar sano e leggero per mantenere la linea! Ma quale sano e sano? Certo che noi non avevamo questi problemi mi cara!>
È davvero sbalordito mentre punge con la forchetta un tenero pezzo di cotica. Lo assapora lentamente, come se fosse una fetta di torta prelibata. Di stucco, si proprio di stucco, Pedru ritrova i suoi sapori preferiti.
<Oh santa la mia Mariuccia!>
Quanto si sente felice di averla ritrovata. Com’era potuto sopravvivere senza di lei? Dove aveva trovato le forze per andare avanti? Forse solo nel rimbombare dei ricordi. Appagandosi con la piacevolezza che aveva vissuto con lei, così disponibile, così tenera, così comprensiva. Sì, senz’altro si era aggrappato ai ricordi più belli, dimenticando i contrasti, le scelte che lei spesso gli rimbrottava. Qualche sua scappatella al bar, e ogni tanto qualche bicchiere in più con gli amici, che lo faceva diventare irascibile e sconosciuto agli occhi di lei.
È rilassato come tra le braccia di sua madre. Sente l’affetto. Sente il tepore morbido che lo stringe a sé. Si sente di nuovo bambino. E si rivede giovane e vigoroso, poi ancora come è diventato maturo negli anni. I primi sorrisi dei suoi figli. I primi pannolini sporchi che sua moglie lavava riuscendo a farli ritornare profumati. La sua rabbia quando divenuti grandicelli, non ubbidivano più ai suoi rimproveri che divenivano man mano meno autorevoli. E si lascia andare Pedru, si rilassa a quei pensieri.
Così sereno e così profondo che lui ancora sogna di volare con le farfalle, volteggiando, volteggiando risucchiato sempre più in alto, sempre più leggero e risanato, finché raggiunge uno stato di totale di estasi.
Si sente ora, ridiscendere ondeggiando come una piuma, e così per tante centinaia di metri, fino a ritrovarsi adagiato al suolo, sotto la pianta di ulivo; e una pioggia di azzurrine cade su di lui come fosse brina mattutina, rinfrescandolo e distendendo la pelle rugosa.
Non c’è neppure l’ape minacciosa solo lo sbatter di farfalle azzurrine.
EPILOGO:
Antonio, il cacciatore, con il fucile a tracolla va silenzioso in cerca di qualche tordo distratto. Va piano per non spaventare gli uccelli evitando di farli scappare.
Si avvicina al grosso tronco d’ulivo, e osserva con piacere i rami che si adornano di infiorescenze ancora chiuse, che si preparano per l’estate.
Appena abbassa lo sguardo, vicino ai suoi piedi vede il vecchio che pare dormire. Un sorriso dolcissimo sulle labbra, lo rende felice. Le rughe profonde e la pelle pendula, paiono essere scomparse. Antonio riconosce l’uomo, un suo compaesano. Si china, lo scuote mentre lo chiama.
<Perdu Pedru Pedru>.
Ma non arriva nessuna risposta. Sul collo che appare gonfio rispetto al resto del corpo, un puntino dal bordo ispessito. La puntura di un’ape che senz’altro vola in giro senza il pungiglione.