Laboratorio di Narrativa:Maria Vittoria Masserotti

Creato il 20 ottobre 2011 da Patrizia Poli @tartina

Buon incipit e lettura gradevole per “Il treno” di Maria Vittoria Masserotti, diviso, però, in due parti non del tutto funzionali l’una all’altra. Nella prima, che  sembra quasi l’inizio di un romanzo, la protagonista riflette sulla vita, sulla morte, sulla vecchiaia, sull’esistenza di un Dio “allagato dall’umanità” (bella immagine!) Nella seconda l’io narrante  esce dall’introspezione per fermare un fotogramma esterno di vita, così come il treno si ferma di fronte a una finestra illuminata, palcoscenico di un amore “che si vede”, di affetti diversi che cozzano l’uno contro l’altro.

Il treno in letteratura è sempre metafora del tempo che scorre, quel tempo che ha fermate brusche, talvolta impreviste e prolungate, ma  che, inesorabile, percorre una strada già tracciata, fino alla meta, quella finale,  l’unica di cui, in fondo,  si ha certezza. La voce narrante in questo racconto appartiene a un’anziana signora, all’interno di un vagone ferroviario. Con occhio autoironico, mentre osserva i consueti, apparentemente insignificanti segni del microcosmo che la circonda, compie un viaggio parallelo introspettivo, interrotto, d’improvviso, da una sosta non prevista. L’attenzione si sposta all’esterno, una finestra illuminata sulla vita. E anche questo, conflitti e amori intuiti, supposti, percepiti, diventa simbolo e metafora dell’esistenza, squarci improvvisi che irrompono e proiettano su quell’insieme di emozioni che è vita, vissuto, tempo colmato e consumato. Fino al fischio dell’arrivo.

Patrizia Poli e Ida Verrei

Il Treno

Il treno la sta dondolando come se fosse in culla e le palpebre piano piano calano il sipario sulla realtà. All’improvviso ha un sussulto, si rende conto che la testa le ciondola nel sonno e che ha la bocca secca, forse russava. Si ricompone, non sopporta che gli altri pensino di lei che è la solita signora anziana che non riesce a stare sveglia e che sta facendo le prove per il sonno eterno.

E’ vero, Daria ha settantotto anni e ancora non si rende conto di come abbiano fatto a passare in un modo così maledettamente veloce ma pronta per il sonno eterno, questo proprio no! Non ha più paura della morte, anzi da un po’ di tempo è incuriosita nei suoi riguardi. Non ha certezze se non che è ineluttabile, vita eterna, aldilà, Dio e quant’altro sono solo concetti che appartengono al campo delle probabilità. La differenza la fa solo la fede e lei non ce l’ha.

Sorride tra sé pensando che guazzabuglio sarebbe la Terra se la gente non morisse, assolutamente invivibile, piena stipata di persone, tutte in lotta per appropriarsi delle materie primarie per la sopravvivenza e, sopravvivendo, mettere sempre più in crisi il “sistema Terra”. Altro che i giorni nostri, pure solcati da egoismi spietati!

No, la morte è necessaria, oltre che, per fortuna, certa. Anzi, di fatto, l’unica certezza.

Già avere settantotto anni è una bella responsabilità ed anche un gran peso, più che fisico, morale. Il “déjà vu” è una presenza costante nella sua realtà quotidiana, ci sono perfino momenti in cui ha la sensazione che ci siano ben poche cose nuove da sperimentare, sensazione che rischia di soffocarla.

L’altoparlante interrompe il corso dei suoi pensieri, stanno arrivando a Pavia.

Mentre si avvicinano alla stazione le cade lo sguardo su una delle tante finestre con la luce accesa. Novembre e Dicembre sono sempre stati mesi tristi per lei, il sole tramonta sempre più presto e le giornate si accorciano ogni giorno di più. Non è razzista, al contrario, ma qui al nord tutto sembra più buio, o meglio, la luce sembra sparire più velocemente in autunno, come assorbita dalla pianura Padana che in alcuni tratti sembra un mare d’erba ma si rabbuia tenebrosa senza riflettere il rosso sole che tramonta.

Ormai le luci accese sono molte, tutte quelle centinaia di luci contengono vite, speranze, delusioni, passioni, odio. Daria prova a pensare a quell’universo di stelle dove ogni luce è una storia lunga una vita, o, addirittura, che dura da generazioni e sente che la testa le gira, un vortice di visi, di voci, di emozioni le percorre tutto il corpo. Chissà se Dio, se esiste, si sente come lei, allagato dall’umanità, incapace di riconoscere una voce ed ascoltarla.

Il treno riparte.

Lei, conoscendo le ferrovie italiane, ha sempre un guizzo di emozione quando sente che si chiudono le porte della carrozza ed impercettibilmente il treno percorre i primi centimetri. I primi centimetri sono sempre i più difficili per tutti, figuriamoci per un bestione di non si sa quante tonnellate.

Ecco, ora cammina sempre più velocemente, anche questa volta ce l’ha fatta!

Gira lo sguardo per lo scompartimento, le è sempre piaciuto osservare la gente e nessun posto è migliore di uno scompartimento del treno. C’è chi legge, chi sente la musica, chi dorme, chi tenta di guardare il paesaggio che sfila dietro il finestrino e, da qualche anno, chi parla al telefono.

Ascoltare è ancora più interessante di sbirciare il titolo del libro, delle riviste o le scarpe. Sulle scarpe Daria ha una teoria. Secondo lei dicono molto di una persona, in generale ma anche sul momento particolare che sta attraversando. Pulite o sporche, comode o alla moda, nuove o vecchie, sformate o estremamente curate sono la misura del rapporto che uno ha con la società.

Ma carpire informazioni da una telefonata è molto più coinvolgente. Chissà cosa provano le Autorità quando passano ore ad intercettare le telefonate dei sospetti, non certo la bonaria condiscendenza che Daria prova e che traspare, per non farsi accorgere che sta ascoltando, solo nel sorriso dei suoi occhi. I passeggeri, con quella piccola scatoletta attaccata all’orecchio, sanno bene di essere ascoltati dagli altri, sarebbe impossibile fare diversamente, così solo ogni tanto compare un cenno, un sorriso, una parola che veramente appartiene loro. Mascherano, si sa, nessuno vuole sembrare quello che è.

Daria nasconde un sorriso in un finto colpo di tosse, anche lei in fondo non vuole sembrare l’anziana signora che è.

Altra fermata.

La Liguria si avvicina e lei ama quella terra. Adora il treno che passa in alto come una crimagliera, dominando le case giù in basso o sfilando magari all’altezza del sesto piano di un palazzo. E le macchine sembrano giocattoli, le persone pupazzetti che girano in tondo, come se non sapessero dove andare.

Se avesse potuto scegliere un luogo dove nascere avrebbe scelto la Liguria, magari un paesino delle Cinque Terre, Monterosso o Riomaggiore, dove il mare è padre-padrone.

Peccato che sia buio, la ferrovia da Genova in giù offre degli scorci che solo essa può offrire, costruita com’è per collegare paesini di pescatori a strapiombo sul mare. Ci sono un’infinità di gallerie ma quando all’improvviso riappare la luce, la vista è letteralmente mozzafiato.

Daria scivola nuovamente in un torpore molto vicino al sonno, sente vagamente che persone scendono ed altre salgono.

“Forse siamo a Genova” pensa, tenendo ben chiusi gli occhi come faceva da piccola, quando la mamma la chiamava per andare a scuola.

La scuola le è sempre piaciuta ma all’epoca alzarsi era un vero problema, le piaceva poltrire nel dormiveglia e lentamente con i piedi accarezzare le lenzuola, godendosi il calduccio. Ma le cose cambiano, panta rei, tutto scorre, come dicevano i greci antichi. Da diversi anni le ore del mattino sono le sue preferite, specialmente in estate, col fresco, nel silenzio mattutino si sente piena di forza e di possibilità. Quando ha davanti possibilità diverse, un guizzo di adrenalina l’attraversa e la fa sentire meravigliosamente viva.

Uno scossone, piuttosto violento questa volta, ed il treno riparte, si sistema meglio sul sedile e si lascia cullare, pensando con un moto di preoccupazione alle sue ginocchia, quando stanno troppo ferme poi hanno difficoltà a ripartire. Questa in assoluto è la cosa della vecchiaia che non sopporta, fare fatica a muoversi, un insulto alla sua libertà così faticosamente cercata e conquistata.

Nonostante il rumore del treno, sente un suono metallico, ci deve essere qualcuno che ascolta la musica in cuffia. Socchiude gli occhi e vede davanti a sé un giovane che mastica, probabilmente una gomma americana o, come si dice oggi, una “cingomma”, storpiando l’inglese “chewing gum”.

Mastica ed ha le cuffie.

Anche a lei piace la musica ad alto volume ma quel rumore che si sente provenire dalle cuffie ha un che di sinistro. Ecco, sta pensando da vecchia! Mentre inveisce contro se stessa, il treno di ferma di nuovo.

Apre definitivamente gli occhi. Non si vede nessun cartello, potrebbero essere a Rapallo o, forse, a Chiavari. Guarda fuori dal finestrino per trovare qualche punto di riferimento che le faccia capire con esattezza dove si trova ma è difficile di notte riconoscere i palazzi di una cittadina, piuttosto che quelli di un’altra. Poi percepisce che il treno è inclinato da una parte ed allora sa di essere a Rapallo, si ricorda benissimo la sensazione sgradevole di scendere da un treno che pende per i binari che non sono sullo steso piano a causa di una curva piuttosto stretta proprio lì alla stazione.

Tenta di stendere le gambe, evitando di colpire quelle del ragazzo seduto davanti a lei, sempre immerso nella sua musica.

Il tempo passa ed il treno non riparte.

I suoi compagni di viaggio cominciano a distogliersi dalle loro attività e si guardano intorno seccati. Come al solito, nessuna comunicazione da Trenitalia, il passeggero è giusto che ignori, l’informazione è potere. Ormai sono più di venti minuti che sono fermi ed evidentemente non è regolare.

Daria sospira pensando alla difficoltà di trovare un taxi a Pisa se il ritardo si prolunga troppo. Anche lei comincia a girare lo sguardo nervosamente ma dal finestrino non si vede nient’altro che persone ferme sui marciapiedi. Nessun segno di “persone in borghese col cappello in divisa”, come chiamava Totò i ferrovieri in un famoso film di tanti, tanti anni fa.

Fra le tante luci al di là della stazione, Daria viene attratta da una finestra proprio all’altezza in linea d’aria del suo finestrino, dai mobili si capisce che è una cucina. Seduti al tavolo ci sono un uomo ed una donna, per quello che riesce a vedere, quasi intuire, saranno sulla quarantina. Lei appoggia i gomiti sul tavolo ed ha le mai infilate nei capelli, sono immobili come nel vecchio gioco delle “belle statuine” che faceva da piccola, lui fissa la sommità del capo inclinato della donna.

I secondi passano e scivolano in minuti, Daria ha perso la cognizione del tempo, sempre con gli occhi fissi alla finestra. Intanto i passeggeri si agitano, parlano, si fanno domande alle quali nessuno sa rispondere e Daria vorrebbe intimare il silenzio, come al cinema.

E’ talmente concentrata che quando l’uomo si alza di scatto dalla seggiola ha un sussulto così evidente che i suoi compagni di viaggio le chiedono se va tutto bene.

“Si, si” dice lei, senza neanche voltare la testa.

L’uomo cammina nervosamente avanti ed indietro nel poco spazio lasciato nella cucina dal tavolo, lei è sempre china con la faccia sempre più nascosta dai capelli, per quello che può vedere, nessuno parla. Anche lui comincia a tormentarsi i capelli, cercando di tirarne indietro un ciuffo che non vuole obbedire.

Ecco, ora si, le sembra che lui abbia detto qualcosa e lei alza la testa lentamente come fosse Atlante che porta il peso del mondo, forse sorride o è un sorriso ironico?

Lo sforzo di leggere in quei volti vicini ma troppo lontani per la sua vista, le fa bruciare gli occhi. Daria si sente un’intrusa come quando guardava quella trasmissione televisiva, come si chiamava? Ah il Grande Fratello. Dovette smettere, si vergognava per i partecipanti al gioco ed anche per gli altri spettatori. Ma qui non ce la fa a staccare gli occhi e, qualunque cosa stia accadendo, sa che sta tifando per lei.

Immobile, silenziosa con la testa alta, la donna evidentemente con il solo sguardo mette in crisi l’uomo. Gli uomini, si sa, sono più duri ma proprio per questo molto più fragili delle duttili donne.

Lui allora si avvicina e le scuote le spalle delicatamente, guardandola in faccia, chissà forse con una muta domanda negli occhi. Lei si alza di scatto, scostando le mani dell’uomo, come se fosse stata punta da una vespa e va nell’angolo opposto della stanza.

Lui si riavvicina lentamente come se non volesse farle paura e, senza toccarla, si mette di fronte a lei. A quel punto però gira le spalle a Daria e non capisce se parla o no, però vede che la donna scuote tristemente la testa, chinandola nuovamente. Più che triste sembra disperata.

In quel momento entra in cucina una ragazzina e la donna in un lampo si raddrizza, sorride e comincia a tirare fuori qualcosa dal frigo. L’uomo si avvicina alla piccola che ha qualcosa in mano, sembra un quaderno, e si china con amore su lei. L’amore Daria riesce a vederlo, anche se non ci vede bene.

La donna è girata verso l’acquaio ma il suo corpo trasmette risolutezza, una determinazione che  si legge nei movimenti contratti ma fermi.

Improvvisamente quella cucina diventa palcoscenico di amori diversi, la figlia verso i genitori ed i genitori verso la figlia. Daria si è convinta che l’uomo ama la donna ma la donna no. Le donne sono sempre tristi quando smettono d’amare.

L’altoparlante dello scompartimento comincia a gracchiare così forte che Daria non volendo si gira, staccando gli occhi da quella cucina e fissandoli stralunata sui propri compagni, come se venisse da molto lontano, un extraterrestre.

“Il treno a causa di un inconveniente tecnico è stato fermo un’ora alla stazione di Rapallo. Ci scusiamo per il disagio. Trenitalia augura buon viaggio”

Maria Vittoria Masserotti

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