Immensa, vasta e misteriosa. Ecco com'è la mia nuova scuola: un grosso istituto multiindirizzo, con una lunga teoria di porte tutte uguali che si aprono su bui e interminabili corridoi, svolte, incroci e scale. Io tacchetto e ticchetto dall'una all'altra, macinando chilometri tra segreteria, sala insegnanti e aule: guai a dimenticare un libro o un quaderno e dover tornare sui propri passi, si rischia di arrivare in classe con venti minuti di ritardo e un certo mal di piedi, dopo aver vagato da un braccio all'altro. Già, perché qualche genio della pedagogia, che evidentemente ha come livre de chevet Sorvegliare e punire, ha avuto la bella idea di chiamarli "bracci", questi benedetti corridoi: poi non stupiamoci se i ragazzi pensano che la scuola sia una galera.
In tutto ciò, a me sono toccate in sorte due prime e una seconda e ancora non mi sono raccapezzata tra settanta nomi e cognomi, almeno una ventina di colleghi diversi, una classe che ha il libro di antologia ma non quello di epica, l'altra che ha quello di epica ma non quello di antologia, l'ultima che ha entrambi, ma solo uno dei due volumi: le uniche cose che ho imparato a individuare con certezza sono l'ubicazione del bar e il prezzo del caffé al ginseng.
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