Lacrime anonime

Creato il 02 febbraio 2011 da Silvanascricci @silvanascricci

Lavorare in ospedale ha degli innegabili vantaggi.

Se ti capita qualche sfiga, qualche acciacco ti assale sai sempre da chi andare, chi è il migliore a cui rivolgerti, da chi non andare, neppure sul letto di morte.

Se ti devono dare qualche notizia sgradevole hanno un atteggiamento differente, un’umana partecipazione un filo più sentita rispetto ai noti od ignoti pazienti.

Ma lavorare in ospedale ha indubbiamente degli aspetti negativi.

Uno di questi è una certa durezza di carattere che acquisisci con gli anni, non tanto insensibilità quanto un pizzico di cinismo che ti serve per sopravvivere.

Un cinismo che non applichiamo solo agli altri ma, prima di tutto, a noi stessi; perchè nonostante quello che diciamo ai nostri pazienti sappiamo che che non sempre esiste l’illusione della guarigione, che non tutto si può superare.

Sviluppiamo, nonostante le apparenze, il senso del limite, la consapevolezza dell’umana fallacia.

Ed anch’io come tanti possiedo queste caratteristiche, eppure dopo 30 anni di onesta carriera, nonostante le confessioni ascoltate, nonostante le sofferenze viste, c’è una cosa da cui la mia corazza non riesce a proteggermi.

Le lacrime.

Non quelle che sgorgano dagli occhi delle persone che hai davanti, che aprono un referto che sai, non a quelle che escono quando ti raccontano le loro storie.

Quelle mute.

Quelle che incontro lungo il viale dell’ospedale.

Quelle che non mi hanno raccontato, di cui non so nulla.

Quelle che vedo nascere da anagrafi anonime, che sorgono per sè o per altri che mi sono ignoti.

Quelle a cui non potrai cedere parole, concedere sollievo.

A tutte queste non mi sono mai abituata, e, forse, è un bene.



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