“Lacrime nella pioggia” di Rosa Montero

Creato il 24 luglio 2012 da Sulromanzo

«Credo che la maturità letteraria passi giustamente per la libertà interiore, attraverso la scrittura di storie che ti riempono di verità dalla punta delle dita fino ai sogni, senza pensare a ciò che diranno e senza pensare al tuo Super Io esigente e ipercritico. In questo senso credo che questo sia un romanzo molto libero».
Questa è una parte della postfazione di Rosa Montero al suo romanzo Lacrime nella pioggia, edito da Salani. Una postfazione per fortuna, perché se fosse stata un'introduzione, penso che avrei già lasciato perdere questo libro e invece che una recensione avremmo un'altra “cronaca di un abbandono”, come già ne sono passate su Sul Romanzo. Come si fa a lasciarsi andare ad un romanzo oltrepassando il Super Io esigente ed ipercritico? Mi sono chiesto come sia possibile superare la parte razionale della mia persona, farmi trascinare in una storia senza che si attivi l'analisi dell'opera e crei quel sottile strato di allerta che si ha mentre si legge e si “Legge” un libro. Semplice: non si può! L'unica possibilità è quella di trascinare il lettore in quel mondo nuovo; lo devi strappare alla realtà, lo devi affogare tra le parole che si è deciso di mettere sulle pagine per poter far vedere con gli occhi dello scrittore quello che si vuole focalizzare, come solo pochi sanno fare. E tu, cara Rosa Montero, non ci sei riuscita.
«Quello che mi piace del genere fantastico e della fantascienza è la sua esigenza di strutturazione, di contenuto, di logica interna. Devi creare un mondo nuovo, e questo mondo deve essere perfettamente coerente e credibile in tutti i suoi dettagli. Devi poterti trasferire in questo mondo e viverci dentro».
Sono contento che ti piaccia questo aspetto della fantascienza, carissima Rosa Montero, ma la sci-fi va ben oltre. Non basta creare una realtà piegando ad hoc per la storia leggi fisiche o organizzazioni sociali, altrimenti avremo personaggi vuoti che si perdono fra le pieghe della storia: nessun disagio, nessun conflitto interno. Per rendere d'attualità e universale un racconto fantascientifico bisogna saper tradurre paure esistenziali e problematiche che da sempre affliggono l'essere umano, saperle traslare in una realtà virtuale che ti coinvolga e «ti riempa di verità dalla punta delle dita fino ai sogni».
Ma parliamo più nello specifico del suo libro, egregia Rosa Montero: dall'inizio fino alla fine ci troviamo a fare i conti con replicanti umani in lotta per il mantenimento dei loro diritti, teletrasporti che sfigurano persone, tre (e dico tre) razze aliene che sono venute in contatto con la Terra portando solo acconciature e droghe stellari; guerre robotiche, regni spaziali razzisti e ariani, cospirazioni politiche di serie B e per finire una trametta da thriller dove spuntano personaggi inutili, mentre quelli importanti vengono nascosti o, peggio, inseriti nelle ultime pagine (come, d'altronde, il resto degli elementi citati). Mi piace ripetermi quando la cosa è importante e sicuramente questa non sarà l'ultima volta che lo affermerò, ma non serve a niente trastullarsi inventandosi quante più cose strane e stereotipate sul mondo della fantascienza ci vengano in mente; il collegamento fra le parti della storia deve essere ben visibile e fruibile altrimenti lascia i tuoi alieni sui pianeti natali e non infilarceli dentro solo per farli andare a letto con la protagonista. Ah, dimenticavo, la protagonista!

Bruna Husky (scritta “come i” e “da” cani) è una replicante da combattimento, che fa la detective privata, con ricordi fasulli, intenta a risolvere alcune morti misteriose che minacciano l'esistenza dei robot umanoidi. Peccato che la massima interiorità che riesca ad esprimere dalle righe sia un ossessivo conto alla rovescia della sua vita (i replicanti muoiono inesorabilmente dopo una decina di anni) che appesantisce la narrazione, creando un fastidioso prurito inguinale ogni volta (troppe volte) che ritorna inesorabile nei pensieri della tecnoumana. Se poi volete il colpo di grazia, leggete il finale. Solo il finale, e comparatelo con un qualsiasi thriller di James Patterson, svincolato in qualsiasi modo da un mondo anche solo lontanamente futuristico. Otterrete la stessa identica solfa. Sapete qual è la verità? È che io mi faccio fregare spesso dalla quarta di copertina, da quelle maledette fascette che vogliono cercare di ricordarti cosa ti stai perdendo. Proporrei una petizione per togliere il riferimento a Philip K. Dick dalla copertina di questo libro. L'unica cosa che li accomuna è che sono entrambi scritti sulla carta con dell'inchiostro.

Se si pensa che neanche il titolo dato dalla Montero è stato preso dal libro per eccellenza sui replicanti (ovvero Ma gli androidi sognano pecore elettriche? di Dick per l'appunto), ma dal discorso finale della trasposizione filmica, Blade Runner di Ridley Scott, si apre la possibilità che l'autrice abbia soltanto visionato la pellicola.
Ho scoperto a cosa servono alcune fascette promozionali: non sono pubblicità infingarda e subdola ma sono camicie di forza per alcuni romanzi che è meglio che stiano, lì fermi, sugli scaffali, a riflettere bene su se stessi, adorabile Rosa Montero.

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