Lady Susan – Una donna...ingombrante e non convenzionale

Creato il 09 luglio 2013 da Loredana Gasparri
Contemporaneamente all’Estate Tolkeniana, corre un’Estate al Femminile.  E’ un’estate in cui torno a certe mie origini per riprendere alcuni pezzi miei che avevo accantonato e trascurato, e da cui riparto per nuove strade, con una nuova visione, meditata, creata e attuata completamente da me. Uno dei pilastri di questa visione è la donna: la sua personalità, il suo modo di agire, il suo significato, il suo ruolo, la sua presenza. Cos’è una donna? Chi è una donna? Sono diversi anni che mi girano in testa queste domande inespresse. Le loro origini sono variegate, complesse. Affondano nella realtà, negli esempi che posso vedere in torno a me, e nei libri, classici, romanzi d’evasioni, saggi, che dipingevano cuori femminili forti, sconfinati, coraggiosi, ma anche deboli, frivoli, traditori, intriganti. Penso soprattutto ad alcuni romanzi e poemi del Settecento, in cui spesso si mettevano in luce gli errori e i difetti umani, con particolare insistenza su quelli femminili, che destavano particolare “scandalo”, e orrore. Choderlos de Laclos e la sua spaventosa Madame de Meurteil, Alexander Pope e la sua Belinda, sono i primi personaggi che mi vengono in mente. Restando nello stesso secolo di questi due autori, il XVIII secolo, mi sono fermata nel paese di uno di questi, la Gran Bretagna. In quegli anni, una giovane scrittrice crea personaggi femminili affascinanti, nati nel suo mondo di piccolissima aristocrazia, bucolico, riservato, gentile. In apparenza. Basta spostare le cuffiette ornate, sbirciare sotto le giacche sobrie dei gentiluomini per scoprire cuori da avventurieri, e spietatezze, seppur metaforiche, degne di scenari di guerra, duelli verbali condotti con la stessa sete di sangue di quelli combattuti con le lame, pur mascherati da maniere eccellenti e voci composte. La giovane scrittrice è Jane Austen. Una vita brevissima, la sua, durata solo 42 anni, spenta forse dal morbo di Addison, relativamente povera di avvenimenti, ma florida e ricchissima come produzione letteraria. Mi ha sempre colpito l’apparenza dimessa dei suoi scritti. Niente battaglie epiche, niente eroismi, niente scenari esotici, niente navi in tempesta, nessuna fanciulla minacciata da bruti/draghi/parenti cattivi, niente lacrime e svenimenti facili, niente segreti terribili, niente maledizioni secolari, niente vampiri malvagi, niente duelli all’alba. “Solo” una grande e piccola commedia umana. Una commedia che diventa il fulcro principale dei fiumi d’inchiostro versati da Balzac, che nasce poco più di vent’anni dopo, in un altro paese, ma che mostra lo stesso interesse per l’agire umano.
La diciannovenne Jane, che ha già al suo attivo tantissimi racconti, elabora con Lady Susan Vernon un personaggio di donna scomoda, disturbante, nell’arco di quarantuno lettere. La maggior parte di queste è scritta dalla stessa perfida Lady ad una sua amica e confidente, altrettanto perfida (forse un tantino più gelida). A queste si contrappongono le rimanenti, scritte da Catherine Vernon, la cognata della Lady, alla propria madre, e da Reginald De Courcy, suo fratello.  L’alternarsi dei punti di vista sulla stessa persona, o sulla stessa situazione, diventa una specie di gioco di specchi. Lady Susan è una donna amante dei piaceri, bella, affascinante, intelligente, scaltra, con un enorme talento sociale, ma quasi priva di mezzi. Il suo bell’aspetto, il suo stile, la sua conversazione briosa, sono le armi di cui si serve con calcolo per attirare gli sguardi e possibilmente un nuovo marito ricco che le garantisca una bella vita. Per perseguire il suo obiettivo, si disinteressa al limite dell’odio della propria figlia sedicenne, messa in un canto in un collegio con la scusa di curare un’educazione carente, e non esita a far “guerra” alle donne più giovani di lei, se incautamente le attraversano il cammino e minacciano di intralciare i suoi piani. Un temperamento da predatrice dissimulato da sorrisi angelici e comportamenti virtuosi, puramente di facciata. Sembra che a questo panzer in crinolina vada liscio ogni piano, impunita. Tuttavia, le marionette che ha così astutamente manovrato per tre quarti del breve romanzo, si risvegliano e scoprono di avere una propria testa e un proprio cuore, per cui, almeno una parte dei piani della cara Lady vanno in fumo. L’ho ammirata e detestata. Di sicuro, la capacità di studiare il prossimo, di capirne i punti deboli, il talento sociale che la portava ad approcciarsi al meglio, sono doti notevoli, che me la facevano apprezzare. Tuttavia, la flebile empatia finiva per crollare subito, di fronte al prevalere dei suoi interessi personali. E’ una donna solo centrata su se stessa. E’ fredda e infastidita verso sua figlia di sedici anni, che vede come una seccatura difficile da governare, o poco più. L’esatto contrario di un atteggiamento materno. Usa le proprie attrattive sessuali per incatenare a sé sguardi e desideri, anche di uomini più giovani. E’ desiderosa di attenzioni,  vuole primeggiare, non sopporta che nessuno le faccia ombra. Quando il suo comportamento, però, oltrepassa il limite, sbatte le ciglia nell’incarnazione dell’innocenza oltraggiata: le sue parole e i suoi intenti sono stati fraintesi. Atteggiamento molto comune tra i predatori senza scrupoli dell’epoca, almeno letterari, come l’alleato della Marchesa di Merteuil, il visconte Valmont , sempre pronto a rovesciare la realtà a proprio favore. In Italia, recentemente, siamo diventati padroni dell’arte di proclamarci non capiti o fraintesi, o vittime di complotto. Tornando a Lady Susan, anche lei si definisce vittima dell’astio della cognata Catherine, forse perché, all’epoca, aveva tentato di impedire che costei sposasse il fratello di Sir Vernon, suo marito. Diventa difficile stupirsi di una mancanza di affetto e sostegno, quando si è fatto di tutto per danneggiare qualcuno...Queste sono le caratteristiche che me l’hanno fatta detestare. Lo stesso atteggiamento ambivalente che avevo per la malvagia Marchesa de Le relazioni pericolose: abile, scaltra, intelligente, ma votata all’egoismo più sfrenato e alla sopraffazione dei desideri e delle vite altrui. Confrontando le date di stesura dei due romanzi, dell’abate Choderlos de Laclos, e di Jane Austen, e sapendo che la giovane inglese era cresciuta in un ambiente culturale vivo, stimolata ed istruita da suo padre, mi sono anche chiesta se Lady Susan Vernon fosse una sorella minore, forse un po’ più pudica, della Marchesa francese. Stesso animo da predatrice, lingue diverse, un atteggiamento civettuolo continuo, che nella seconda si accentua maggiormente e assume colori più rossi, più spinti. La Marchesa gioca con le vite altrui perché donna ricca ed annoiata dalla sua routine, e per scommessa con il suo torbido amico/amante/alleato Valmont, mentre Lady Susan è affamata di attenzioni e denaro perché non ne ha a sufficienza per mantenere il tenore di vita senza pensieri cui è abituata, e che non vuole assolutamente perdere. Sono donne che usano le loro attrattive e le loro capacità di entrare in sintonia con l’altro (soprattutto se uomo), solo a fini egoistici. Non vogliono faticare per ottenere il loro posto nel mondo: vogliono mostrarsi, essere ammirate, messe su un piedistallo, adorate come dee (nel caso della Marchesa anche qualcosa in più), per diritto. Un diritto che deriva loro dall’essere belle, prestigiose, e per questo potenti. Il potere di un essere umano sull’altro ha origini disparate. Quello che deriva dalla bellezza femminile è uno dei più antichi, e anche abusati. Esercitato a tutte le latitudini, in tutti i tempi, rende una donna la regina del cuore di uno o più uomini, e il bersaglio vivente dell’odio di altre donne, almeno di quelle che vogliono competere su quel terreno.  Se usato in modo esclusivo, e solo per fini egoistici, questo potere di essere belle non dura molto, come si vede dalle vicende delle due seduttrici. Il tempo usura la bellezza e scopre cosa c’è sotto...prima ancora di arrivare al teschio brandito da Amleto, se l’anima coperta dalla piacevolezza non lo è altrettanto, emerge putrida e risulta odiosa, provocando l’immediata perdita di tutti i vantaggi accumulati solo dal potere della superficie.

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