Depatologizzazione del transessualismo: già il nome della campagna annuncia un tema difficile, facciamo un po' di chiarezza.
il transessualismo è inserito nel DSM (manuale diagnostico sanitario) come disforia di genere. Questo implica che viene considerato una malattia mentale. Per correttezza è giusto dire però che il DSM prevede anche che la disforia non venga repressa ma assecondata, conducendo la persona trans ad ascoltare la propria condizione e se lo desidera iniziare un percorso medico per modificare il proprio corpo. Il MIT è a favore della campagna. Ma dobbiamo fare chiarezza. La depatologizzazione e la medicalizzazione non sono sovrapponibili. La transizione prevede, nella gran parte dei casi, il ricorso a strumenti che la medicina offre per plasmare il proprio corpo e avvicinarlo all'idea che una persona ha di sè. Chiaramente gli strumenti della medicina possono diventare pericolosi se utilizzati “fai da te” e non seguiti da un medico che li prescrive. È bene non far rientrare nell'idea di depatologizzare il transessualismo anche il rifiuto della medicina e della chirurgia.
L'accusa che viene fatta dai detrattori della campagna è nel pensare che togliendo il transessualismo dal DSM il sistema sanitario non assisterà più le persone che vogliono iniziare il percorso.
La campagna va condotta in modo intelligente, non dobbiamo buttare il bambino con l'acqua sporca. Non tutto ciò che è medicalizzato è considerato malattia: basta pensare alle donne in gravidanza, il sistema sanitario nazionale garantisce loro tutta l'assistenza necessaria ma nessuno considera la gravidanza come una malattia. Per questo è importante distinguere i piani fra “patologia” e “medicalizzazione”. È bene ricordare che il percorso trans non è una passeggiata ed ha bisogno spesso di assistenza. C'è un gran dibattito dentro il movimento ad esempio sull'accompagnamento, ovvero la diagnosi e il monitoraggio da parte di uno psicologo della disforia di genere. Molte e molti trans sono contrari e sostengono che sanno molto chiaramente chi sono e cosa vogliono. Tuttavia, noi non possiamo pensare ad una norma che tuteli chi è più pronta e preparata, e dobbiamo invece concentrarci su chi ha più bisogno di essere seguito. E molte sono le persone trans che ne hanno bisogno e a cui va garantito il diritto e la tutela.
Il movimento trans non sembra avere i rapporti di forza per conquistarsi la depatologizzazione e garantirsi al contempo un pezzo di welfare. Come pensate di agire?
Il consultorio del MIT ha più di 780 utenti e la prima cosa che pensiamo è di tutelarle. É chiaro che le grandi conquiste si sono ottenute negli anni ‘60 e ‘70 e successivamente i movimenti hanno solo fatto resistenza nel difendere ciò che avevano faticosamente conquistato. Ma non possiamo limitarci solo a battaglie di retroguardia. Noi siamo impegnate/i con il coordinamento Sylvia Rivera (coordinamento nazionale Trans) e con le istituzioni competenti per procedere con questa battaglia con i piedi di piombo, mantenendo il più alto livello (possibile) di coordinamento fra le associazioni con la convinzione che mai possiamo giocare le battaglie politiche sulla pelle delle altre e degli altri.
Ricordiamoci sempre che non è corretto pensare il transessualismo solo come una “correzione” del proprio corpo. Non c'è nulla di sbagliato in noi, al più ci sono cose che non ci piacciono, che non ci corrispondono, che vorremmo cambiare e inventare. Parte del percorso è cambiare la società, quella si da correggere, anzi da stravolgere completamente. L'impatto di noi e del nostro corpo nella società è parte del percorso almeno quanto gli ormoni o il DSM.
di Filippo Riniolo
Fonte: IL CORSARO
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