Una veglia funebre irlandese (incisione acquarellata XIX sec.)
Le tradizioni funebri irlandesi, che sono da molti anni un mio oggetto di studio, all’interno dello studio specialistico del folklore irlandese, sono un campo vastissimo e di interesse unico in Europa, perché, come più volte ho scritto, l’Irlanda ha mantenuto la più ricca tradizione folklorica europea.
Le tradizioni funebri culminano essenzialmente in due momenti fondamentali: la veglia funebre (wake) e la lamentazione funebre ritualizzata (keen – irl. caoineadh) . Tali tradizioni erano entrambe assai vive ancora fino agli inizi del ’900, anche se la seconda si andava affievolendo e rimaneva soprattutto in aree rurali o sulle isole.
Entrambe si sono sviluppate nel corso dei secoli, quando il dominio inglese, dopo la conquista di Elisabetta I, aveva vietato lo svolgimento di riti cattolici (battesimi, messe, funerali, matrimoni), ma in realtà gli irlandesi hanno semplicemente enfatizzato e riversato nelle antiche tradizioni precristiane il sentimento antiprotestante e la volontà di preservare la loro identità culturale e religiosa. Dunque, le messe si svolgevano all’aperto, usando dei massi come altare, e la sepoltura era solo l’atto conclusivo di una serie complessissima di riti, che iniziavano con la veglia funebre.
La lamentazione funebre ritualizzata veniva recitata da donne, le keeners, che in parte conoscevano a memoria un’enorme numero di versi, ( gli antichi keen tramandati a memoria nei secoli) e in parte improvvisavano. La lamentazione funebre, a volte recitata da una prefica, a volte, per le famiglie più ricche, da più prefiche, celebrava il defunto, ne illustrava le virtù e le imprese, ne piangeva amaramente la perdita. Ma non con semplici formule stereotipate, bensì in forme poetiche raffinatissime ed elaborate, in cui versi aulici si succedevano in decine di strofe.
Il keen che qui presento, nella mia traduzione, risale alla fine del XVII sec. è uno dei più famosi ed è attribuito allo stesso Felix McCarthy. La tradizione vuole che Felix fosse uno di quei seguaci di Giacomo II, il re inglese che appoggiava i cattolici, nel corso delle lotte contro Guglielmo III d’Orange, quando re Giacomo sbarcò in Irlanda per tentare di ritornare in Inghilterra. Come si sa, le forze giacobite furono sconfitte nel corso della Battaglia del Boyne (1689) e Giacomo tornò poi in esilio in Francia.
Nel corso di quei disordini, Felix, del clan dei McCarthy, si rifugiò in una regione montagnosa del Munster, nella zona del West Cork, con la moglie e i quattro figli ma, durante un’assenza sua e di sua moglie, la capanna di legno che aveva costruito come rifugio per la sua famiglia, crollò seppellendo i bambini.
La lamentazione, terribile e disperata, in cui la ferocia del dolore è durissima, segue tuttavia lo schema classico e codificato. Inizia con la manifestazione della sofferenza della perdita, prosegue con l’elogio delle qualità dei figli, di cui ricorda le nobili ascendenze, inserendo la loro nascita nella genealogia di stirpe regale. La chiusa, che precede il Ceangal (il tradizionale Commiato o Ripresa) consiste in una terribile maledizione (l’interdetto druidico), pronunciata in modo solenne all’interno della lamentazione e dunque di efficacia spaventosa, contro la valle e contro tutta la natura che ha condannato a morte precoce i suoi piccoli, nei secoli a venire.
Come si vedrà, il metro, che nelle strofe è incalzante e che, nella mia traduzione, ho cercato di rendere tale da mantenere il ritmo ondulante e ipnotico, tipico della recitazione classica del keen, nel Ceangal cambia e si fa più disteso. Anche questo rientra nella struttura della lamentazione funebre ritualizzata.
La grande tradizione poetica che il keen rappresenta in Irlanda, fu da sempre osteggiato sia dalla Chiesa, perché vi si credeva di scorgere (e in fondo con ragione) una forma di paganesimo, sia dagli inglesi, che, non comprendendo il gaelico e sentendo solo i suoni gutturali, tipici della recitazione del caoineadh, bollavano tanta bellezza come una manifestazione di ignoranza e arretratezza. Questo è il motivo per cui la tradizione si è andata spegnendo. Ma non la sua memoria e il suo studio.
Nota di Traduzione
Questa mia traduzione poetica è stata condotta non sull’antico testo in gaelico, ma su una bellissima e fedele traduzione in inglese della prima metà dell’ 800. Lo preciso perché trovo estremamente scorretti quei traduttori (e ce ne sono molti anche notissimi) che traducono dall’inglese o dal francese testi in altre lingue ma non lo dicono, anzi appoggiati in questo dai loro altrettanto scorretti editori. Poiché la ritengo una truffa nei confronti del lettore, desidero sia chiaro. In questo senso, le ineffabili sfumature e raffinatezze stilistiche dell’originale saranno certo in parte perse, ma mi sono attenuta il più possibile alla bellissima versione inglese, cercando allo stesso tempo si creare una lingua poetica che si avvicinasse il più possibile all’anima poetica irlandese come io la conosco e amo.
LAMENTAZIONE DI FELIX MAC CARTHY PER LA PERDITA DEI SUOI QUATTRO FIGLI (XVII sec.)
Pur strozzato dal pianto – tenterò di cantare
I miei cari adorati, con profondo dolore –
Mia la perdita dura a cui corre il pensiero
E la piena del cuore porterà a traboccare.
Oggi, giorno di Pasqua, io non ho più sostegni
Questo giorno crudele che squarcia il mio petto!
Lontano da amici e da ciò che più amo
Solitario mi tocca vagare nell’ovest.
Sospinto a parlare da atroci ferite
Lasciate ch’io pianga il mio lutto infinito:
La testa sconnessa, fiaccato da pena
E il cuore mi scoppia e non trova sollievo.
Dolore di vedova mai è quanto il mio
O dello sposo per il suo letto vuoto.
Solo io sono col gelo d’inverno
Vuoto è il mio nido – i miei piccoli morti.
Così, come il cigno su onde in tempesta,
Sia dolce il mio canto, funebre e cupo.
Il canto di morte che onora i morenti
E sussurra la musica oltre l’abisso.
Mio piccolo Callaghan – o crollo funesto;
E Charles dalla pelle di tenera seta
Mary – e Ann, che di tutti eri più amata
Che un ammasso di pietre tutti ha sepolti.
Miei quattro bambini – puri come la luce
Di alto lignaggio – in un giorno soltanto
Tutti morti vi ho visti – o visione fatale
Che rende il mio cuore triste e riarso.
Rami del nobile albero d’Heber
Nel fior della vita – tutti verità e amore –
Miei figli! Via siete andati da me
Nell’alba gioiosa della prima età vostra.
Pur di stirpe più fiera – tuttavia essi pure
Col re della Scozia si potevan legare –
E i sovrani di Spagna, riccamente adornati
Poiché quello era il ceppo dei loro natali.
Con molti audaci di sangue milesio
Potevan vantare uno stretto legame
E da cronache antiche potevan provare
Con i re sassoni un legame di sangue.
La loro voce era dolce al mio orecchio
Quando indulgevano in giochi infantili,
ma ora non suono allegro mi giunge –
muto è il loro labbro, come la terra.
E chi potrà dire quanto soffre la madre?
Per i figli che amava con amore di fuoco
Nutriti alla fonte del suo stesso cuore –
Suo sarà tutto il dolore che resta.
Le bianche mani ha tutte infiammate
Per lo strofinarle in disperazione
Grosse lacrime versano gli occhi. Incessanti
È folle il suo cuore, scomposti i capelli.
Ma strano sarebbe se meno soffrisse
Ché ha perso il sostegno della sua intera vita;
Né in Innisfail vi è chi inchiodata
Più alla sua croce sia e piegata.
Su quella valle triste e tetra
Dove quasi di senno è uscito il mio cuore
Possa Iddio apporre il Suo suggello
In memoria del mio greve fardello.
Valle del Massacro, da questo momento
Battezzo quel luogo nei tempi a venire;
Sia ricoperta del veleno più nero
E cancellata dalle inondazioni.
Non la illumini più la luce del sole
Né vi brilli una stella né raggio di luna;
Foglie, fiori e boccioli bruciati e appassiti,
Non uccelli né insetti vi facciano il nido.
E mai risvegli una voce trionfante
L’eco di quella maledetta vallata
Ma angoscia di morte e di carestia
Per sempre e per tutti il suo nome sia.
Ceangal (Commiato)
Causa della mia disperazione e fiaccante dolore
Tal che morte mi appare una benedizione
È la perdita dei miei figli, chiusi in un unico avello
Ann, Mary, il mio bel Charles e Callaghan, mio fiore novello.
(C)2007 by Francesca Diano RIPRODUZIONE RISERVATA