Carissima Mari Nerocumi - Sibilla
Mi chiamo Luca Lapi.
Sono nato il 17 Marzo 1963.
Sono diversamente abile (con paralisi agli arti inferiori ed agli sfinteri) a motivo della Spina Bifida e dell’Idrocefalo diagnosticati subito dopo la mia nascita, ma non ho più la Spina Bifida e l’Idrocefalo, oggi, ma la lesione neonatale, la malformazione di cui vivo i postumi.
La Spina Bifida e l’Idrocefalo non sono malattie.
Non sono malato di Spina Bifida e di Idrocefalo.
Non ho la Spina Bifida e l’Idrocefalo.
Ho avuto la Spina Bifida e l’Idrocefalo che, poi, mi hanno portato a disabilità più o meno importanti con altre conseguenze a livello neurologico.
L’esperienza che ne è derivata mi ha portato a considerare, inizialmente, questo mio stato un problema con cui sarei stato costretto, per sempre, a convivere e, convivendoci, mi avrebbe portato, spesso, ad autocommiserarmi.
Mi ha portato a non vederne, da piccolo, che i lati negativi: sedia a rotelle, stampelle che consideravo una vergogna, non potere fare ciò che altri potevano quando e quanto volevano, ma l’esperienza che ne è derivata, a posteriori, e sto vivendo, tuttora, salvo piccoli, fastidiosi problemi, mi ha portato a vederne anche lati positivi: le mie diverse abilità possono essere risorse da porre a servizio dei più bisognosi, ricchezze da condividere con tutti.
Mi ha portato, in altre parole, ad intravedere le diverse abilità, apparentemente, nascoste nelle mie disabilità: non posso camminare con le mie gambe, ma posso farlo con la mia mente, il mio Cuore e la mia Anima.
Ho scritto: "…STAMPELLE CHE CONSIDERAVO UNA VERGOGNA…” e mi spiego.
Iniziai a camminare con le stampelle, a 11 anni, dopo avere passato i precedenti sulla sedia a rotelle ed incontravo, per la mia città, bambini più piccoli: mi puntavano il dito e, rivolgendosi ai genitori, facevano loro notare, a voce alta, quanto fossi buffo e sembrassi piccolo (a 11 anni) poiché ero e sono, evidentemente, basso di statura (nella parte inferiore del corpo).
Pensavo (ignorando, allora, cosa, realmente, avessi,) che si trattasse di una situazione provvisoria e che non fossi, ancora, abbastanza, cresciuto per potere camminare.
Ho capito tutto, invece, da adulto, delle conseguenze della Spina Bifida e dell’Idrocefalo: le ho accettate e, grazie alla mia fede cristiana, le ho accolte, come doni d’amore misteriosi di Dio Padre, non come suoi castighi verso di me.
Non mi vergogno più, perciò, incontrando, oggi, sulla sedia a rotelle, su cui sono dovuto ritornare, bambini che si comportano come quelli di un tempo: non provo che dispiacere, non per me, ma per codesti bambini che considero insufficientemente educati dai genitori o dalla scuola al rispetto per tutti.
Provo dispiacere, inoltre, per tutti i bambini e adulti che convivono, con disagio, con la loro diversità fisica e che, a motivo della loro emotività e sensibilità, soffrono dinanzi ad esternazioni, più o meno, innocenti, di alcuni bambini verso di loro.
Ho imparato, col tempo, in qualche modo, ad ignorare tali esternazioni, ma penso che molti altri bambini e adulti non ci siano riusciti e mi sento solidale, perciò, con ciascuno di loro.
Non intendo dire che, oggi, quelle esternazioni mi avviliscano, quando dico “…IN QUALCHE MODO…”, ma, piuttosto, il constatare che mi piovano addosso in momenti e/o periodi di sofferenza a causa dell’isolamento che mi è stato imposto da chi consideravo amici.
L’ironia è che loro non arrivino ad accorgersi di essere responsabili del mio isolamento.
Si tende a educare, giustamente, scolari e studenti al rispetto verso gli extracomunitari, loro compagni di classe, ma si tende a trascurare l’educazione al rispetto dei diversamente abili.
Mi chiedo e chiedo, perciò, che si possa fare affinché, un giorno, ciò che ho descritto non accada più.
Appaio, certamente, ossessionato, ma non mi pare esagerato pensare che il dito puntato dai bambini contro i diversamente abili possa diventare, un giorno, una mano che impugna una vera e propria arma da fuoco pronta a sparare contro chi è colpevole, solo, della sua diversità fisica.
Sono più sensibile verso chi vive situazioni di disagio peggiori.
La percezione della mia sensibilità è stata importante.
Ripeto, infatti, che ho recepito le mie diversità fisiche non più come problemi, ma risorse da porre a servizio dei più bisognosi, ricchezze da condividere con tutti.
Altri lati positivi, nella mia vita, sono stati l’Inserimento Terapeutico nella Biblioteca Comunale della mia città e la possibilità, per un periodo di tempo, di guidare un’auto apposita.
Ho contatti quotidiani con molti giovani (studenti universitari, neolaureati) a motivo del mio Inserimento Terapeutico, ma circoscritti tra le mura della Biblioteca: non sconfinano in amicizie al di fuori.
Il risultato è conoscenza reciproca di nome e di vista: nulla più!
Sento lo stimolo a confidarmi con molti, ma ne risultano rapporti alimentati da una parte sola (la mia), un prendere, portare a casa, chiudere a chiave in un cassetto e buttare via la chiave per non pensarci più, rapporti di conoscenza, educazione e gentilezza:”Buongiorno! Buonasera! Buonanotte! E, talvolta, “Buon appetito!”: nulla più!
Molti pensano, forse: "Luca ci vede in Biblioteca: gli deve bastare!”
Altri frequentano, come me, la Parrocchia, mi vedono in Chiesa e pensano, forse: "Luca ci vede in Parrocchia, in Chiesa: gli deve bastare!”
Mi pare, così, che l’amicizia si riduca a misera figura di “dente da togliere”, “tassa da pagare”, “attività lavorativa” dove si entra in fabbrica, ufficio, Chiesa, locali della Parrocchia e si è amici, si esce e non lo si è più; dove si sta accanto con rassegnazione: non insieme con passione, “qualcosa che si usa e getta”, “si prende, porta a casa e chiude a chiave in un cassetto per non pensarci più e si butta via la chiave”.
Mi pare, così, che l’essere umano si riduca a misera figura di “macchina erogatrice di servizi” dove i “servizi” erogati dalla “macchina” essere umano si chiamavano, un tempo, “sentimenti”.
Mi avvilisce continuare a constatare che con chi frequenta, come me, Biblioteca e/o Parrocchia e Chiesa non continui a trattarsi che di rapporti concepiti, portati in grembo per qualche tempo e, infine, abortiti.
Vedo giovani accoppiati in Biblioteca e sposati in Parrocchia ed in Chiesa ed il loro evitarmi mi fa pensare che l’amore che li lega non sia che una maschera sul volto dell’egoismo di coppia.
Mi chiedo e chiedo che si possa fare, perciò, affinché ciò non accada più.
Apro una parentesi.
Ho definito le diverse abilità: "RICCHEZZE DA CONDIVIDERE CON TUTTI”.
Anche affetto, amicizia ed amore lo sarebbero, ma c’inducono a chiuderci in noi come se temessimo che, condividendoli, possano volatilizzarsi, quando li si prova.
Si degenera, così, da affetto, amicizia ed amore reciproci in egoismo di coppia o, addirittura, di gruppo.
Si degenera da “CONDIVISIONE” in “DIVISIONE”.
Dico, alla maniera di Adriano Celentano:”DIVISIONE è lenta e CONDIVISIONE è rock”.
“CONDIVISIONE” è assente giustificata a lezioni dell’Università dell’Età Libera, purtroppo.
Troppi si giustificano: "Sono sano: non ho tempo per malati, per chi abbia difficoltà fisiche; faccio volontariato: non ho tempo per chi ritengo che non ne abbia bisogno; sono studente, studioso: non ho tempo per gli ignoranti; sono lavoratore: non ho tempo per disoccupati, licenziati, pensionati; sono accoppiato, sposato, convivente: non ho tempo per i ‘single’; sono genitore: non ho tempo per chi non lo è; sono figlio: non ho tempo per gli orfani!”
La “CONDIVISIONE” soccombe quando chiunque abbia responsabilità educative civili o religiose non provvede affinché ciò che ho descritto non accada più.
Chiudo la parentesi.
Mi convinco, infatti, che il mio nascere con la Spina Bifida e l’Idrocefalo e crescere con le loro conseguenze corrisponda a misteriosi doni di Dio Padre che mi svela, di volta in volta, particolari sia negativi, in parte, relativamente, minore, sia positivi, in parte, infinitamente, maggiore.
Non posso che affidarmi, totalmente, a Lui.
Sono contento così, ma questa mia dichiarazione m’induce a continuare a riflettere.
La mia fede m’induce a pensare, in futuro, ad un disegno di Dio Padre di mia guarigione dalla disabilità della paralisi agli arti inferiori ed agli sfinteri, benché non Glielo chieda, più, da tanto, esplicitamente, nelle mie preghiere (non per stanchezza, non per indebolimento della mia fede, ma per il mio essere entrato in altro ordine d’idee in merito a ciò che penso che sia la Sua volontà su di me).
Mi chiedo: come mi comporterei se si verificasse un miracolo di mia totale guarigione?
Continuerei ad impegnarmi ad essere Cristiano coerente?
Il mio impegno è totale, ma la tentazione di svicolare, a motivo di ciò che mi vedo intorno e mi delude, è forte.
Cordiali Saluti
Salve Luca,
apprezzo la sua mail così dettagliata (per questo è stata pubblicata in toto) perché comprendo la sua necessità di prendere le distanze da quel modo un po’ approssimativo con il quale di solito le persone valutano chi abita perennemente una sedia a rotelle.
E apprezzo anche il fatto che lei spieghi minuziosamente le varie fasi di accettazione di sé, così come è, con cui ha dovuto fare i conti fin dalla sua infanzia, fino a scoprirne finalmente i lati positivi da poter condividere con chiunque altro le capitasse sul cammino.
Ora i problemi iniziano quando percepisce che i rapporti con gli altr, nelle condizioni in cui si trova, non sono così idilliaci, partendo dall’educazione fin dall’infanzia nei confronti delle persone diversamente abili fino alla mancanza di sensibilità di persone adulte, che pur frequentando luoghi come la chiesa, dove concetti quali comprensione e soprattutto condivisione, dovrebbero generare accoglienza e supporto, non riescono a comprendere il suo stato e condividere con lei pezzi di vita. Non ci sono dubbi che per quanto riguarda l’educazione dei bambini nei confronti delle persone che vivono in disagio è basilare e se
questa manca è l’ignoranza a trionfare. E contro quella purtroppo nemmeno le
tavole possono fare qualcosa…
Dalla sua lettera poi sono riuscita ad avvertire quanta fame ha la sua legittima richiesta e quanto appaia triste la condizione di chi potrebbe rispondere e sfamare richieste come la sua e non lo fa.
Sarebbe bello un mondo fatto di leggerezza assoluta, dove normalità e diversità vivono in reciproca sintonia e benevolenza, in reciproco supporto e comprensione. Dove non esiste il bisogno di rivendicare sé stessi e come si è o di nascondersi dietro a squallidi egoismi per paura di ammettere di paura. Perché è proprio così, Luca, in questo idilliaco mondo non dovrebbe esistere la paura, quella contro cui abili e diversamente abili combattono per
la propria vita tutti i giorni. Non faccio distinzione tra lei che rivendica i suoi giusti diritti e chi vive egoisticamente la sua vita. Siamo persone fatte di carne e anima che soffrono e che cercano di vivere al meglio il contorto percorso che gli è stato messo davanti. Chi vive situazioni di maggiore disagio è vero che ha maggiori ragioni di rivendicare il proprio diritto a voler stare bene ma non lo può pretendere da chi questi disagi non li vive. Chi non li vive non sa nemmeno di cosa si tratta e pure quando decide di capire di cosa si tratta, perché decide di
condividere con lei pezzi piccoli o grandi di vita, è spaventato dal fatto di non sapere come aiutarla quando lei sta male, è spaventato perché si sente impotente e incapace di poterla aiutare nel momento del bisogno. Lei è un impegno che mette paura e la paura si sa che fa brutti scherzi. Ma alla paura si può reagire, mi può giustamente obiettare lei, ed è quello che mi auguro possa fare ognuno di noi in positivo, mi auguro che lei possa incontrare un’anima
disposta a starle accanto anche quando si vivono momenti meno felici, senza preoccuparsi di quello che si riesce a fare o non fare, l’importante è esserci.
E per quanto riguarda la sua ultima riflessione, le carte la invitano a usare maggiore indulgenza, nei confronti degli altri ma soprattutto di se stesso: nessuno la condannerebbe se guarisse e decidesse di vivere con o senza coerenza, a giudicarci ci pensa già la nostra coscienza.
Scrivete a
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