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“Lascialo andare”: elaborare l’esperienza della perdita per tornare a vivere dopo un lutto

Da Silvestro

A cura della Dottoressa Anna Chiara Venturini, psicologa psicoterapeuta a Roma

“Lascialo andare”: elaborare l’esperienza della perdita per tornare a vivere dopo un lutto
Elaborare il dolore  della perdita significa intraprendere un complesso e difficile percorso di separazione dalla persona cui si è “attaccati”. Già, perché il dolore del lutto chiama in causa la primaria esperienza di attaccamento con le figure di riferimento: restare “attaccato” a mamma o a papà per il cucciolo significa poter esplorare e apprendere mentre c’è chi provvede al suo sostentamento e alla sua protezione. La vita presente e futura del piccolo dipende così dall’altro, da colui o colei che lo nutre e lo protegge, che lo sostiene e gli fa da guida. Se dunque pensiamo che sulla base delle prime esperienze di attaccamento si formano i successivi modelli di interazione  e relazione, appare chiaro come il dolore per la perdita di un caro sia così lancinante e distruttivo.

La vita, sin dal suo inizio, è marcata da continue perdite e separazioni, aventi come risvolto la promozione della maturazione psichica e l’individuazione della persona che così diviene progressivamente capace di affrontare adeguatamente il distacco e le sensazioni di vuoto e solitudine profonda causate dall’evento. In realtà tuttavia, non ci si abitua mai al dolore: di fronte ad una situazione di perdita ( che sia di una persona cara, di un soggetto o di una condizione di vita), il dolore si rinnova mescolandosi a rabbia, senso di colpa, rimpianto, senso di vuoto e stato di abbandono. La vita perde sapore e colore, si fa qual che si “deve”, mentre la propria volontà si prostra di fronte all’irreversibilità dell’evento ed alla marea di emozioni che la travolgono. In ogni gruppo umano, la sua specifica cultura si è incaricata di codificare un processo di lutto, di dare cioè origine e forma ad un insieme di atteggiamenti, comportamenti, e riti atti ad esprimere il cordoglio ( inteso come insieme delle reazioni emotive e comportamentali che caratterizzano il travaglio psicologico della persona che ha subito la perdita).

I riti e le forme del lutto hanno la funzione di facilitare l’espressione del dolore soggettivo in modi socialmente accettati e riconosciuti ( funerali, cortei, lapide ect..), costituendo una forma di sostegno psicosociale. Il lutto ha al funzione di aiutare la persona ad effettuare il passaggio attraverso l’esperienza del cordoglio, rendendola collettiva, ovvero condivisibile con gli altri, così da poterla meglio tollerare ed in seguito accettare. Il cordoglio è un processo caratterizzato da alcune fasi fondamentali attraverso le quali l’essere umano deve passare, sperimentando varie difficoltà ed avendo bisogno di tempi diversi, a seconda del suo stato di maturità psichica ed esistenziale e in base all’armonia interiore sviluppata.

Bowlby riconosce 4 fasi del lutto:

-shock: stordimento e protesta. Dolore, rabbia e rifiuto caratterizzano questa fase che, può accompagnare saltuariamente la persona durante tutto il lutto

-protesta: incredulità e negazione. Si ricerca la persona deceduta in ogni cosa

-disperazione: collera e disorganizzazione. La persona si chiude a riccio, diviene apatica, indifferente. Spesso si verificano insonnia, calo ponderale e senso di vuoto

-separazione: accettazione, elaborazione dell’esperienza. La persona che non c’è più viene ricordata nei suoi aspetti positivi e negativi; si è pronti a riorganizzare l’evento luttuoso e a interiorizzare il ricordo.

Il cordoglio, tuttavia, non è legato solo alla perdita della persona cara, ma anche a tutto quello che offriva a chi è rimasto in vita: l’appoggio affettivo, morale e spirituale, i progetti di vita costruiti insieme, le aspettative, il tutto legato a filo doppio con la condivisione delle esperienze e delle esistenze.

Come si può intervenire?

La persona in lutto tende ad essere totalmente focalizzata sul proprio dolore, sul tema della perdita: ha perso l’amore, ha perso la presenza fisica e mentale dell’altro, ha perso chi l’amava, ascoltava e capiva, ha perso la possibilità di realizzare i progetti desiderati con l’altra persona, ha visto spezzare il senso di continuità della propria vita. Può sperimentare un senso di vuoto, può far fatica ad orientarsi nel tempo e nello spazio, e chiedersi: “Chi sono io senza di lui/lei?” “Che ruolo ho ora?” “Dove vado e cosa farò?” La persona può essere completamente identificata con le proprie reazioni emotive, mentali e fisiche: ne viene avvolta e ne rimane spesso imprigionata “io sono il mio dolore, la mia disperazione, il mio vuoto, la mia rabbia”.

Pensiamo per esempio alla situazione di perdita del partner: è chiaro che chi sopravvive si chieda: “in che misura e come posso essere autonomo senza l’altro? “Come posso stare nel mondo senza lui/lei?”

Si possono individuare tre grandi linee d’intervento:

1)   empatia: il terapeuta è con l’altro, è il testimone del suo processo interiore, risuona col suo dolore, riconosce la sua forza, la sua resilienza; è con lui di fronte al mistero della vita e della morte. La presenza terapeutica costituisce, quindi, un luogo dell’anima in cui l’altro si sente accolto, rispettato e capito.

2)   lavorare a livello psicologico-spirituale: si riorganizza l’essere sul piano bio-psico-socio-spirituale, permettendo di immergersi nel dolore fino ad imparare ad utilizzarlo nel senso più vasto. Spesso ci si avvale di fotografie e dei racconti da cui emergono i diversi aspetti della personalità del defunto, le sue modalità di relazione, la sua vita; come anche si fa uso di lettere di addio e di liberazione in cui chi è in vita riesce nel primo caso a distaccarsi e nel secondo a dire tutto ciò che non ha fatto in tempo ad enunciare quando l’altro era in vita

3)   lavorare sul senso di colpa del sopravvissuto: spesso chi rimane in vita avverte un fortissimo senso di colpa, come se avesse potuto fare qualcosa per evitare quello che in realtà era inevitabile e non di rado rimpiangere di non essere morto anch’egli col proprio caro. In questo caso l’intervento è volto a ripristinare i limiti del proprio senso di “onnipotenza” e a destituire il proprio giudice interiore.

L’elaborazione positiva del lutto consiste in un’integrazione del ricordo della persona nella propria esistenza, nella dimensione più profonda di sé: si affievoliscono le manifestazioni di dolore, si sciolgono rimorsi e sensi di colpa, si ristruttura un nuovo ordine di interazioni sociali e di attività. Non si dimentica, semplicemente chi non c’è più entra nella dimensione del ricordo, là dove niente e nessuno può arrivare a scalfirla, là dove si può andare a ricercare ogni volta che si vuole.
Si crea nella persona una nuova progettualità, si guarda al presente per leggere il futuro e non per rimpiangere il passato.
Nel lutto complicato invece si resta ancorati ad un dolore continuo con sensi di colpa, rabbia, odio per sé e per gli altri, negazione e proiezione. Non si può e non si vuol lasciare andare chi non c’è più: la persona o la situazione persa viene congelata e con essa anche la propria vita. La fatica di andare avanti porta a quella esperienza necessaria di progressivo distacco e di accettazione della realtà, che gradualmente aiuta la reintegrazione dell’essere nella continuità della sua storia umana.
Il lutto permette alle persone di acquistare per un certo periodo un ruolo in parte definito e protetto, uscendo dal quale la persona avverte un senso di liberazione dai debiti del passato: affinche ciò avvenga positivamente l’individuo deve poter ricorrere alla sua capacità bio-spico-spirituale, oltre che all’appoggio degli altri. Quando ciò non accade il lutto si trasforma in un trauma permanente che può condurre a sintomi e a sindromi: depressione, attacchi di panico, disturbo post traumatico da stress, ipocondria. La persona, in questo stato si allontana progressivamente dalla propria  realtà, rimanendo con la mente ed il cuore ancorati al passato: è qui che, se la situazione permane a lungo, si può andare incontro ad una depressione maggiore o ad un disturbo post traumatico da stress.
E’ importante per questo il supporto sociale che consente di “proteggere” la persona in questa fase delicata: se tuttavia il cordoglio tende a cronicizzarsi nel tempo è necessario l’intervento di uno specialista.
La perdita di una persona è un’esperienza devastante, deflagrante, ma al contempo, se ci si immerge nel dolore e ci si fa attraversare da esso, diventa un’occasione di crescita e di rafforzamento: impariamo che nonostante tutto siamo in grado di rialzarci, che la vita ha provato a piegarci, ma che ancora siamo in grado di lottare e di guardare avanti, con una nuova consapevolezza, che la morte si può sconfiggere grazie al ricordo della persona che porteremo ogni giorno con noi.

Quando nei momenti più neri
trovi la forza, l’entusiasmo e la voglia di farcela…
significa che dentro di te qualcuno ha lasciato tracce importanti che ti hanno reso quella che sei…
e quel qualcuno mi è accanto ogni giorno, senza che io lo veda…
mi è accanto nei gesti… che un tempo erano suoi,
nei pensieri… con cui un tempo si sarebbe scontrato,
nei sogni…che lui avrebbe voluto veder realizzati per me…
e quel qualcuno un giorno sorriderà dicendomi ” ci sei riuscita!”

A mio padre


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