Perché è così difficile, a volte, lasciar andare il passato e rimanere fermi nella dimensione presente? Mancanza di entusiasmo, assenza di stimoli, incapacità di progettare, abitudine al dolore o, peggio ancora, irresponsabilità di fronte al tempo che scorre, l’illusione che ce ne sia sempre ancora…
Mi viene in mente il mito di Orfeo e Euridice… L’immagine di Orfeo che infrange il divieto e si volta a guardare l’amata quando ancora non ha raggiunto la luce della vita, quando vede davanti a sé la fine dell’antro oscuro dell’Ade, l’uscita luminosa, ma ha paura che la sposa possa sfuggirgli, che possa rimanere indietro, che possa perdersi di nuovo e allora si gira, guarda per essere sicuro e proprio allora la perde, il legame si spezza e la sposa diventa sempre più lontana, risucchiata dal buio della morte. In fondo chi non ha paura di perdere il proprio passato su cui costruiamo in buona parte la nostra identità? Eppure se Orfeo si fosse concentrato sul cammino e sulla prospettiva, se non si fosse voltato indietro, il passato lo avrebbe seguito diventando nutrimento per il presente. Forse il passato dovrebbe rappresentare il continuum su cui si snoda il nostro essere e, così, offrirci la possibilità di comprendere noi stessi e il nostro percorso di vita. Non so quanto questa interpretazione sia valida, ma la ricchezza del racconto mitico sta proprio nella pluralità di piani che si intrecciano, nei molteplici livelli di lettura che li rendono sempre attuali e capaci di produrre senso, oltre che significato.