Lattonieri e massoni

Da Nubifragi82 @nubifragi

“E poi a mettersi in regola ti ammazzano. Mi devi credere, sembra che la facciano apposta. Si, io a volte credo veramente che la facciano apposta. Tu mi devi dire perché uno lo devono schiacciare con le tasse. Non basta il lavoro infame, la vita di merda, le malattie? Per me c’è qualcosa sotto. Si, guarda, non può essere che quello: c’è qualcuno che comanda, ma non i politici, quelli pensano solo ad arrafare, no, no, sopra i politici, qualcuno che davvero sta nella stanza dei bottoni. I politici? I politici sono burattini, non li vedi? Quella è gente che si accontenta di vivere alle spalle del prossimo. Chi comanda li tiene lì perché gli fanno comodo. Così, mentre questi si mangiano anche le palle del paese, gli altri traggono le fila. L’altra sera ho visto un video che parlava di una setta, una roba che si riunisce in loggioni…”

“Logge, Koblet, si chiamano logge. E quella che tu definisci setta è la massoneria.” lo interruppe Bottecchia. Precisati i termini, diede un sorso alla birra e la posò sul bancone. Non ascoltava il compagno di sgabello ormai da un paio di minuti, ma aveva captato quella che gli era sembrata una castroneria troppo grande per essere lasciata ad aleggiare nel pub. Non che pensasse che il resto del discorso fosse passabile, non per altro aveva abbandonato la discussione ormai da tempo, ma imbastire una discussione di geopolitica con Koblet il lattoniere alle due e quindici del mattino era ben più idiota che lasciarlo sproloquiare.

“…e questi massoni comandano tutto: banche, governi, eserciti, aziende, supermercati…” “Fioristi!” intervenne Bottecchia fissando l’orlo del bicchiere. Ma Koblet era troppo preso dal proprio monologo per captare la freddura. “E poi le grandi catene di distribuzione, è una cosa incredibile. Guarda Bottecchia, devi guardare assolutamente quel video, domani te lo posto.” Bottecchia portò un braccio davanti a Koblet e ottenne di fermarne il flusso di parole. Si alzò sullo sgabello e protraendo il corpo oltre il bancone chiamò “Bito! Bito vieni qui!” Dopo cinque ore in cui il suo nome veniva costantemente accostato alla parola birra, non c’era da stupirsi se Bitossi, senza far caso a chi e per quale motivo lo avesse chiamato, si fosse diretto automaticamente alla spillatrice. Bottecchia lo fermò “No, Bito, niente birra. Vieni qui, ti devo chiedere una cosa.” Il barista si avvicinò ai due con fare dubbioso. Che altro si poteva chiedere a Bitossi a quell’ora se non birra? “Bito” disse Bottecchia “sei un massone di merda, vero? Un infame burattinaio, una creatura mitologica avida di potere. Cane!” Bitossi guardò prima Bottecchia, poi Koblet. Quest’ultimo, pensò il barista, aveva una faccia da gonzo da due di notte mica da ridere. Distolse lo sguardo per evitare una risata. Non sapeva come controbattere, l’affermazione di Bottecchia era così idiota e priva di senso che non ammetteva repliche. “Bito, è inutile che mi guardi con quella faccia. Di chi è questo bar?” chiese Bottecchia “Come di chi è? Lo sai benissimo che è mio.” rispose Bitossi, la mano timidamente indicava se stesso. Bottecchia sbatté la mano sul bancone ed esclamò a voce alta “E allora ecco! Avevo ragione! Koblet” e indicò il compagno “dice che tutto è in mano ai massoni. E ha ragione! Avanti, ammettilo, cosa metti nella birra sporco massone? Credi che non mi informi su internet io? Lo so che ti hanno dato in gestione questo pub  a patto che versassi chissà quale porcheria nelle birre. Qual’è il vostro scopo? Dimmelo, dimmelo, dai.” Bottecchia osservò il barista. La mascella penzolava, una mano pizzicava il costato, quasi a volersi svegliare da un sogno che, più che un incubo, era qualcosa di inverosimile. Koblet impugnò il bicchiere, ma Bottecchia lo fermò con il braccio. “E no, cazzo, no!” esclamò “Ma sei pazzo a bere sta roba? Ma lo vuoi capire che qui buttano della roba che ti fa dire si ,padrone, si” e così dicendo fece un ampio gesto con la testa.  Bottecchia si accorse che la coppia di fianco lo stava osservando. Intimorito dagli sguardi, si nascose nel bicchiere che mantenne a lungo all’altezza della bocca. Bitossi scostò lo sguardo da Bottecchia. Guardò Koblet e pensò nuovamente che quel ragazzo aveva una faccia da gonzo mica da ridere. Si grattò il mento con la mano destra, quindi la portò in direzione dei due e disse: “Uno e due, basta birra per stasera.” Quindi se ne andò in cerca di qualcuno che potesse avvicinare di nuovo il suo nome a quello di una rassicurante birra. Koblet osservò il bicchiere per qualche secondo, le mani tra le cosce. Quindi afferrò la pinta, la portò alla bocca e con un solo sorso ne sgolò un terzo. Ruttò sommessamente e poi disse a voce bassa “Sei proprio un tamburo. Non c’è niente da fare. Se uno è scemo è scemo.” Bottecchia evitò lo sguardo del lattoniere. Pensò che la scenetta era stata un po’ eccessiva. Meglio evitare di fare certe cose alle due e mezza di notte. La cosa migliore era guardare l’interlocutore, guardarlo negli occhi possibilmente, far cenno di si con la testa e pensare nel frattempo alla classifica marcatori di Usa 94. Si, fate così, pensò, e diranno di voi che sapete ascoltare le persone. Tranquilli, nessuno vi accuserà di pensare ai gol di Stoichkov mentre vi espongono i loro problemi. Bottecchia voltò la testa verso Koblet mantenendo lo sguardo sul bancone. Aprì la bocca per accennare a delle scuse, ma il lattoniere lo precedette. “Che poi, pensi che la Chiesa non c’entri in tutto ciò? E nel calcio, si, ecco, tu che ami il calcio, che continui a seguire quella gente lì che fa i milioni con le tue tasche. E lì pensi che non ce ne siano di massoni?” Bottecchia chiuse la bocca e riportò la testa in avanti. Il bicchiere era vuoto. Lo afferrò e con la base disegnò sul bancone dei cerchi sempre più grandi. “Prendi un lattoniere come me. A me di fare dei soldi interessa anche relativamente. Quando c’hai da mangiare, da pagare la luce e il gas…” “Koblet” “…due birre con gli amici, un regalino alla morosa” “Koblet” “Non chiediamo molto e ci vogliono lo stesso togliere tutto, ma…” “Koblet!” esclamò infine Bottecchia ad alta voce. Il lattoniere lo guardò con la sua faccia da gonzo “Koblet, io vado a pisciare”.

Mentre si apprestava a urinare contro il muro della casa di fronte al pub, Bottecchia pensò che non aveva mai capito di preciso che cosa facesse un lattoniere. Quando era bambino, pensava che i lattonieri facessero i tamburi. Questo per una strana associazione con un libro che vedeva spesso circolare per casa. Bottecchia iniziò a scrivere con l’urina le lettere di lattoniere. Intanto un’ auto aveva imboccato il vicolo e si avvicinava al nostro, ma questi, indaffarato nella sua attività di scriba, non ci fece caso. Era ormai alla lettera erre quando qualcuno si rivolse a lui dicendo “Ehi bel tomino fatta tutta?” Bottecchia alzò la testa. Una finestrella posta all’altezza della sua testa gli riverberò un’intensa luce blu. Scrollò la sacra proprietà e pensò merda. Niente di più che un perentorio merda. Si voltò e tentò un sorriso ebete. Il carabiniere lo osservò disgustato. “Che stavi a fare?” chiese. “Perchè?” rispose con tono timido e accomodante Bottecchia “Fumavo una sigaretta qui all’aperto” “Una sigaretta, eh?” ribattè il carabiniere, il viso di chi è costretto a guardare qualcosa di fastidioso. “E la sigaretta qual’è? Quella li tra le gambe?” Bottecchia abbassò lo sguardo. Nella fretta aveva dimenticato la bottega aperta e l’oste penzolava fuori, appeso all’uscio.

“Lo sai chi ci abita in questa casa?” “No, a dire il vero no. In ogni caso mi scuso veramente, non è mio costume urinare in spazi aperti, il fatto è che il bagno era occupato, c’era fila…” “Un buon motivo per urinare sulle case altrui” Bottecchia osservò il rivolo di urina tra le gambe del carabiniere. “No, no, come le ho detto, sono consapevole di avere fatto un atto incivile, la prego di scusarmi.” Ma il brigadiere continuava per la sua strada “Allora, per tua informazione, qui abita tale Andrea Massoni.” Bottecchia si soffermò su quel cognome: Massoni. Che croce, pensò, questi massoni “Lo conosci Andrea Massoni?” Bottecchia non conosceva nessuno con quel nome, ma per una strana connessione delle sue sinapsi,  rispose “Si, lo conosco” Il carabiniere si mosse di scatto come punzecchiato nelle natiche. Nel movimento, non si accorse di aver messo un piede sul rivolo di urina. Se ne accorse invece il suo interlocutore e fissò lo stivale dell’uomo come se non potesse farne a meno. La scena gli ricordava San Paolo con il serpente schiacciato sotto il piede. Il brigadiere sporse la testa verso di lui e lo guardò torvo “Mi prendi per il culo? No, dimmi un po’, mi stai a prendere per il culo?” Bottecchia sollevò lo sguardo verso il carabiniere. Era una di quelle volte in cui si sentiva piccolissimo e tutti gli altri attorno parevano altissimi, sebbene il brigadiere Massoni non fosse un marcantonio “Ascolti, mi dia un documento” disse il carabiniere porgendo la mano destra aperta. Bottecchia frugò nella tasca posteriore dei jeans. L’istinto di sopravvivenza lo portava a immaginare ogni possibilità di cavarsi da quel pasticcio, ma per come si era indirizzata la situazione, la mente non produceva nulla di spendibile sul piano pratico.

“Massoni! Oh veh chi c’è, il signor Massoni, il più pignolo osservatore di grondaie che abbia mai trovato.” Il carabiniere si volse verso il pub. Alle spalle di Koblet la porta d’entrata si richiuse. Questi accese la sigaretta che aveva in bocca, sbuffò il fumo e sorrise in direzione del carabiniere. Il brigadiere lo riconobbe. Inarcò la schiena e fece una O con la bocca in segno di sorpresa. “Il lattoniere!” esclamò, quindi rise e chiamò il collega che non si era ancora mosso dal posto di guida “Maurizio, vieni un po’ qui che ti presento uno a cui non chiedere mai le grondaie. A meno che non vuoi fare la doccia ogni volta che esci dalla porta, si intende.” Iniziò un conciliabolo di cui Bottecchia non seguì che poche battute. Pacche sulle spalle, sigarette offerte, battute su chi lavora meno tra lattonieri e carabinieri. Ecco cosa fa un lattoniere, pensò Bottecchia, le grondaie. Ecco cosa fa invece uno sfigato come me, continuò: piscia sul muro della casa di un carabiniere mentre questo passa con la sua bella macchinina blu. La carta d’identità che stringeva in mano gli ricordò perché si trovava in quel luogo e in quella situazione. Osservò i tre compari sulla porta del pub. Nessuno sembrava considerarlo più. Infilò il documento nella tasca del giubbotto e fece come il giocatore di baseball in prima base che tenta di guadagnare metri verso la seconda: un passo laterale, due passi laterali, tre quattro cinque. Infilò il vicolo a sinistra e guadagnò la strada di casa.

Bottecchia si stese a letto. I recenti avvenimenti gli avevano tolto il sonno. Prese il libro dal comodino e lo aprì alla pagina dove era posizionato il segnalibro. Non aveva mai fatto caso al segnalibro. Diede un’occhiata. Su un lato era rappresentato un gatto grigio, sull’altro lo spazio era occupato da una reclame pubblicitaria: “F.lli Ganna, lattonieri dal 1956″. Sbuffò. Iniziò il capitolo IV. Dopo tre righe il protagonista incontrava un dottore, uno che si diceva in giro appartenesse ad una loggia massonica. E via con una bella descrizione storica della massoneria.

Bottecchia lesse dieci righe in tutto. Posò il libro sul comodino e disse “Fanculo”. Senza rancore, una constatazione e niente più. Spense la luce della bajoure e fissò il buio. Dopo tre minuti era nel mondo dei sogni.



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