Laura Liberale per Ballabile terreo (edizioni d’If). Intervista all’Autrice a cura di Iannozzi Giuseppe

Creato il 05 giugno 2011 da Iannozzigiuseppe @iannozzi

di Iannozzi Giuseppe

1. Ballabile terreo, questo il titolo della tua ultima silloge per le edizioni d’If. Un titolo impegnativo, che identifica la sostanza di cui noi tutti siamo fatti: di terra. Ma anche un richiamo biblico: “Quale è l’uomo fatto di terra, così sono quelli di terra; ma quale il celeste, così anche i celesti. E come abbiamo portato l’immagine dell’uomo di terra, così porteremo l’immagine dell’uomo celeste. Questo vi dico, o fratelli; la carne e il sangue non possono ereditare il regno di Dio, né ciò che è corruttibile può ereditare l’incorruttibilità”. (I Corinzi XV, 35-50)”

Ballabile terreo. Anagrammalo e verrà fuori il nome di mio padre: Alberto Liberale. Questa silloge è nata insieme al mio primo romanzo, Tanatoparty, ne ha condiviso tempi e spazi reali e interiori. Nella Dedica finale di Tanatoparty scrivevo: “Poi, come fece Celan col suo, anagrammo il nome di mio padre e quello che ne esce mi piace. Ballabile terreo. La danza delle fiamme e la terra, ancora una volta”.
In realtà, il richiamo era più a un’elementalità fisica (la solidità, la costanza terrigna della figura paterna, la sua luce e il suo calore ignei), nonché a una sorta di processo alchemico di trasformazione del dolore. Nulla di scritturale, dunque, nelle intenzioni. Piuttosto: una forma di “magia” del e mediante il verbo, la parola.

2. Nelle tue poesie in qualità di poeta (o poetessa) ti interroghi sù la vita e la morte: “Il cancro è una cometa/ la coda a cui attaccarsi per tornare./ In groppa alla cartella di un paziente?”. E’ forse un richiamo all’eterno ritorno dell’uguale?

Più che di un’idea filosofica, si tratta, anche qui, di qualcosa di semplice: il ritorno a un’origine, nel senso più ampio possibile. Mi viene in mente quando Zolla, citando Borges a proposito dei mistici, parlava dell’uccello a cui interessa di dove è venuto piuttosto che dove sia diretto. Ecco, credo di aver voluto dire qualcosa di simile: l’infanzia come “recupero aurorale” e non certo come regresso.

3. A chi è idealmente dedicata la silloge Ballabile terreo? A qualcuno di molto importante nella tua vita…: “Sei tu./ La bolla del tuo nome/ che ci esplode nelle orecchie”.

Sì. Vedi la risposta n. 1.
“La bolla del tuo nome…”. Di nuovo il nome (anche la mia prima silloge aveva per titolo il nome di mia figlia, Sari). L’influenza dei miei studi indologici: la mistica del Nome, la partecipazione del nome all’essenza della realtà nominata… Permettimi di citare ancora Zolla: “Un nome proprio è un paradosso. A differenza dei nomi comuni non designa una classe ma stenografa un destino, il principio che organizza una vita. Nome e forma descrivono le cose, ma prima viene il nome, perché riflette l’archetipo a cui esse appartengono. Quando una cosa si altera, vuole un nuovo nome proprio”. Mio padre, morendo, ha attraversato la trasformazione ultima. Forse è anche per questo che ho dovuto trovargli un nuovo nome.
E poi, nell’ambito dell’iconografia della vanitas, c’è il riferimento all’Homo bulla, potentissima immagine della fragilità e caducità creaturale.

4. E’ Ballabile terreo (anche) un modo per una possibile redenzione esistenziale, per tagliare il cordone ombelicale del dolore dal tempo passato e dar così corpo all’Übermensch?

Ballabile terreo è un pianto. E dal pianto viene pulizia, detersione, trasparenza.
Ogni singolo verso di Ballabile terreo è un lumino, una pietra con su inciso: Io ti dico, ti sto dicendo, e in questo modo ti salvo. “Ho braccia marine, ti sto avvolgendo / avvolgo questo scempio / di te, lo tengo morbida / nel riverbero della nudità”.
Ho scritto per ricordarmi di continuare a tenere stretto così mio padre.

5. I poeti e i filosofi che hanno maggiormente influenzato il tuo pensiero e la tua coscienza?

Sono gli spesso anonimi, e di difficile ubicazione storica, autori del sapere tradizionale dell’India.
Quanto ai poeti… Da anni riempio quaderni interi di poesia altrui. E la cerchia si va allargando man mano che scopro altre voci. Più che di nomi, potrei parlarti dei miei versi preferiti, di come si staglino, per me, in quella luce di verità che ormai confonde i tratti, le identità, le biografie dei loro singoli artefici.

6. L’assenza: “Anche con mia madre, papà/ come con tutto il resto/ a interessarmi è sempre stata/ la mancanza, il pezzo assente…”. Laura, questi tuoi versi mi hanno ricordato quelli di un altro poeta, Guido Gozzano: “E non sono triste. Ma sono/ stupito se guardo il giardino…/ stupito di che? non mi sono/ sentito mai tanto bambino…”. Come te, Gozzano scriveva della morte, quasi con ironico distacco.

Vedi che cosa vuol dire trovare segni e rispondenze? Come forse saprai, io sono piemontese di nascita. Ho vissuto per 31 anni in Canavese, nella provincia di Torino. Sai qual era una della mete preferite dei nostri giri in bici, miei e di mio padre? Il Meleto di Agliè, la casa di Gozzano. Un posto splendido.

7. I simulacri. I tuoi versi sono sviluppati in una realtà sotto-giacente: “Se fossero vita e morte/ (che simulacro d’azione/ nei verbi di un morire siffatto)…”. Jean Baudrillard, Andy Warhol, Philip K. Dick: tutt’e tre hanno parlato della società confinata ed espansa in una visione delirante. E tu?

Qui la riflessione è, ancora una volta, assai più semplice (comincio a pensare che, a fine intervista, ti avrò profondamente deluso). Si tratta dell’abisso che si spalanca fra le parole, soprattutto quelle più squisitamente astratte (nella poesia in questione: “immanentizzarsi”, “imparolirsi”, “sparolizzarsi”…) e la matericità, l’oggettualità dell’esperienza reale. Le parole non possono imbrigliare l’accadimento. Soprattutto quella parola speciale, “morte”, che nulla, proprio nulla ci dice del morire.

8. “Al luogo delle voci ritrovate/ c’arriverò papà? […] Se è con l’imperfetto che dovrò/ dirti d’ora in avanti/ sappi che il mio non sarà mai il tempo/ di quel che passa dopo una durata…”: è forse desiderio di liberazione attraverso la liminazione? E se sì, in quale tempo è proiettato questo tuo desiderio di liberazione?

Speranza, Giuseppe. La speranza che “il diviso” possa, prima o poi, al di là di tutti i prima e i poi, riunirsi in un qualche altrove che è già da sempre qui. Lo so, è linguaggio paradossale. Ma come dirlo altrimenti? Come esprimere la speranza di un compimento (di una “liberazione”, come la chiami tu) se non attraverso il paradosso o l’apofaticità?
Voci ritrovate. Penso a Pogue Harrison: “Ereditiamo le parole dei morti così da poter dare loro una voce”.

9. A tuo avviso, qual è il compito del poeta oggi come oggi? Ha esso delle responsabilità nei confronti della società in cui è suo malgrado inserito?

Forse, oggi più che mai, potrebbe proprio essere quello di allacciare ai viventi le voci dei morti, per rifondare un senso ciclico dell’esistenza e una continuità, per controbilanciare l’ipertrofia degli “io” congelati in un qui e ora senza sbocchi.

10. La realtà: come la intende il poeta? Potrebbe essere un suo spazio privato che esso percepisce e manipola a suo personale uso e consumo?

Manipolazione è un brutto termine, non trovi? Nell’idea che ho io di poesia, lo spazio è sì quello intimo (privato, come dici tu), ma vissuto dal poeta come “la più frequentata lontananza” (non sono parole mie. È Rilke). “Lontananza” è un’idea chiave per me. Non significa “distacco”, tutt’altro. È comunione con i morti, con il perduto che si ricompone interiormente. È una visione lunga, che sa andare a ritroso, alla meraviglia del primo sguardo, al senso di unità, di non separatezza dall’osservato. Ma è anche il viaggio infero, lo scarto inevitabile fra silenzio e dicibilità, fra chiarezza e mistero. Quella “mancanza”, quel “pezzo assente” (“insieme all’escrescenza che non dovrebbe, eppure c’è”, per autocitarmi) di cui si diceva sopra.

11. Ballabile. Perché “ballabile”?

Credo di averti già risposto nella 1.
E poi, oltre alla danza delle fiamme, c’è l’idea di lievità, di gioia spontanea che fa muovere un corpo; l’immagine che io avevo e ho di mio padre: un semplice capace di entrare naturalmente “in sintonia” con il tutto, di “ballare” per pienezza e pacificazione.

Grazie Laura, al solito sei stata molto paziente ed esauriente nelle tue risposte. A te ogni bene e fortuna.

Esauriente, dubito, Giuseppe (e non poteva che essere così, data la natura dell’argomento).
Contraccambio, tu lo sai…

Laura Liberale – Ballabile terreo – 1ma edizione 2011 – Edizioni d’If – collana: i miosotìs / n. 56 – Le forme dell’amore – ISBN: 978.88.88413.94.5 – pagine: 36 – euro: € 8,00


La rassegna stampa a Tanatoparty qui

Iannozzi Giuseppe intervista Laura Liberale
per Tanatoparty qui

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