Lavorare a San Francisco

Creato il 18 ottobre 2010 da Lucalo

Vivere a San Francisco da tre settimane e credere di essere qui da mesi.

Il ritmo sfrenato di lavori e occasioni non accenna a diminuire, anzi, per la prima volta in vita devo gestire tutti i fusi orari del mondo per seguire contemporaneamente Italia, America, Cuba, Filippine e India (posti dove ho collaboratori o clienti), seguo tre progetti alla volta stando attento a dire “buongiorno” o “buonasera” al momento giusto, nella chat giusta, nel fuso orario giusto.

Non appena arrivato a Londra o a San Francisco la storia non cambia: pioggia di progetti, occasioni e contatti. E questo nonostante in entrambi i casi non conoscessi nessuno e mi aspettavo di trovare una situazione di grossa crisi.

Ma crisi o non crisi, che è probabile che ci sia e pure grossa, io vedo un altro aspetto che noi italiani credo ignoriamo: l’atteggiamento.

Non so se qui a San Francisco ci sia più lavoro che in Italia. Probabile. Ma non è la quantità a fare la differenza.

Quello che invece mi sembra determinante è che tutti vogliono farti lavorare: senza raccomandazioni, senza diffidenze, senza volerti sfruttare. La gente mi sembra non veda l’ora di affidarti il proprio progetto. Di pagarti. Di vedere crescere il proprio business.

Perché il lavoro è non solo fatica ma anche tremendamente facile da trovare, quindi trovare qualcuno bravo non è per nulla scontato, e quando lo trovi quasi ti viene di abbracciarlo.

L’altro giorno faccio un colloquio di lavoro e a un certo punto arriviamo al solito, delicato momento in cui si parla del budget.
E del tutto inaspettatamente il tipo mi fa: “Ti consiglio sempre di chiedere dai 60 dollari l’ora in su, queste sono le tariffe medie qui dentro.”

Forse vedendo il mio sguardo allucinato si sente in dovere di aggiungere qualcosa.

E dice.

“Del tuo compenso ne parlerai con un altro reparto, quindi a me non importa quanto ti paga l’azienda. Ma se lavorerai per noi io sarò il tuo capo. E le persone che lavorano per me devono essere contente. E più sarai pagato, più sarai contento”.

“Non fa una piega” gli faccio.

Mi alzo, l’abbraccio, saluto la segretaria che mi ha offerto una bottiglia d’acqua (facevano 32 gradi).

Esco dal grattacielo di vetro.

Fuori il sole è fortissimo.

Metto gli occhiali da sole, penso all’America e sorrido.


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