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Lavorare all'estero. Quello che vorrebbero (e quello che invece dovrebbero) fare gli italiani per avere successo

Creato il 23 ottobre 2013 da Ramonagranato
Lavorare all'estero. Quello che vorrebbero (e quello che invece dovrebbero) fare gli italiani per avere successo
[Attenzione! In questo post non troverete consigli sulle professioni più ricercate del momento. Anzi. Leggerete verità scomode e confessioni, altrettanto scomode, delle mie più inconfessabili aspirazioni]
Tutti vorremmo fare i filosofi a Vienna, gli ingegneri informatici per la Microsoft a Londra, i web developer per Zuckerberg a Palo Alto, gli artisti a Parigi e gli chef in qualsiasi programma televisivo permetta di preparare anche solo un toast col prosciutto.
Solo così, e solamente a quelle idilliache condizioni che coccolano e vezzeggiano il nostro ego, ce ne andremmo dalla casa di mamma che ci fa trovare vitto, alloggio, lavatura, imbiancatura e stiratura.

Questo è quello che vorremmo.Ma quello che dovremmo fare è ben altro.Quanti ingegneri, architetti, esperti di web e di qualsiasi altro lavoro alla moda ci possono essere al mondo?Tanti, tantissimi. Davvero crediamo di essere così speciali da fare la differenza?
Io non ci credo. E, francamente, non dovreste crederci nemmeno voi.
Dopo aver ponderato di lasciare l'Italia, dovremmo innanzitutto fare un sopralluogo nel Paese prescelto ad accogliere il nostro genio. E, una volta lì, trovare quell'unica cosa inutile - ma di cui non si può fare a meno - che là (guarda caso) non c'è e quindi portarla noi, moderni paladini per la difesa del benessere dei popoli.
La scorsa stagione televisiva mi è capitato di vedere su DeeJay Tv Pascalistan.
Il programma consisteva nel narrare la vita di Pasquale Caprino, 26 anni, di Battipaglia, che, una volta superata la frontiera del Kazakistan, è diventato Son Pascal, l'artista più famoso della musica kazaka.

Lavorare all'estero. Quello che vorrebbero (e quello che invece dovrebbero) fare gli italiani per avere successo

Il logo del programma "Pascalistan" su DeeJay tv

Diciamoci la verità, Pasquale a Battipaglia, via Londra, era solo un ragazzo come altri milioni - forse con occhiaie più marcate degli altri, ma questo è un altro discorso - che sognano di fare musica, magari di entrare in un reality dove, alla fine, verranno scartati perché di bravi ne nascono pochi.
E poi? Così si daranno ad altro, così diventeranno cinquantenni ostinati che imbracciano la chitarra sperando sempre di diventare famosi.
Invece lui, Pasquale, ha fatto quello che vi dicevo io prima. Ha preso e, senza nemmeno conoscere la lingua, è andato in un Paese dove cantare all'italiana, magari un po' pop-frizzantino, era proprio la cosa che mancava. Ha partecipato all'X Factor kazako, dove è arrivato secondo e, come accade spesso a quelli che non stanno sul gradino più alto del podio, lo slancio verso il successo è arrivato subito e senza revoche.
Ha inciso il singolo "Englishman in Shymkent" - città nel Sud del paese asiatico -, chiaramente una cover di "Englishman in New York" di Sting che, su Youtube, in poco tempo è stato visto 70 mila volte e ha invaso tutte le emittenti radiofoniche locali.

Lavorare all'estero. Quello che vorrebbero (e quello che invece dovrebbero) fare gli italiani per avere successo

Son Pascal nei panni di un Englishman in Shymkent

Questo è stato, e Son Pascal è assurto a nuovo idolo musicale delle folle kazake, tanto che lo hanno scelto per interpretare il brano "You should speak Kasaksha" che invoglia i giovani kazaki ad usare la propria lingua madre. Possibile che non ci fosse in tutto il Kazakistan un giovane kazako che potesse cantare un inno di propaganda per la propria lingua? No, lo hanno fatto cantare a questo ragazzo di Salerno che non ha paragoni da quelle parti. Ah, avevo dimenticato il duetto con Albano...
Tutto questo per dirvi cosa?
Che purtroppo la crisi in Italia ci ha tagliato le gambe soprattutto mentalmente.
Nel senso che, ormai, siamo troppo abituati a non POTER fare niente, rassegnati a mandare CV a tempo perso perché si perdono ugualmente quelli validi e quelli inutili.
E se pure economicamente questo nostro Bel Paese dovesse riprendersi, come si farà con la sindrome post-traumatica da crisi? Io credo che sarà quella che dovremo raccontare negli anni a venire. La convinzione di non essere buoni a fare niente, di non essere capaci di essere utili tanto da essere scelti per un qualsiasi lavoro, la sensazione che qualsiasi cosa si faccia sia perfettamente inutile ai fini di un impiego retribuito.
Come si potrà superare questo?
Io, diciamocela tutta, ho una laurea in Lingue con specializzazione in Letteratura Americana, un master in HR e una passione friccicarella per il web. Vorrei fare la libraia, la giornalista, l'insegnante, la traduttrice, l'intervistatrice di bellissimi e intellettualissimi scrittori americani di passaggio, guarda un po' il caso, nel paese dove ho deciso di risiedere.
Ma non è cosa. Lo so già. Sì, cioè ditemi che sognare è bello, etc... ma lo so che non è cosa.
Così, mi sono guardata attorno, qua dove mi trovo ora - in Svizzera, ma non sui monti con Annette né con le caprette di Heidi che mi fanno ciao -, ho visto le facce della gente all'ora di pranzo, ho visto che la voglia di qualcosa di buono colpisce anche i precisissimi stomaci svizzeri e allora ho capito che devo fare per avere successo.
Mi devo aprire una zeppoleria o una panzarotteria o, meglio ancora, una pereomusseria.
Per i non neapolitan speaking, sarebbero, nell'ordine, frittelle e crocchette di patate le prime due, mentre l'ultima cosa... beh, non saprei come spiegarla se non come una filosofia di street food tutta da scoprire solo assaggiandola.
Ok, ci siamo capiti, allora?
Non importa quello che vorreste fare ma scoprite quello che dovete fare per avere successo e, ça va sans dire, guadagnare tanti soldi.
Io appena arrivo al primo milione di euro vi avviso, ok?

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