Eserciti di legittimi aspiranti redattori, traduttori, grafici, correttori, uffici stampa, e compagnia bella bussano alla porta dell’editore di turno, regalando il loro tempo nella speranza di ottenere poi un ingaggio pagato; firmano il primo contratto, felici di aver superato una prima faticosa tappa; poi spesso, a mesi dalla consegna puntuale e dal mancato pagamento fissato nel contratto, capiscono di aver fatto del volontariato a loro insaputa. Così imparano un nuovo lavoro: recupero crediti dal committente. Non è prassi consolidata ovunque, non si deve generalizzare (anzi, per cambiare l’andazzo è giusto diversificare sempre e illuminare chi rispetta l’etica del lavoro) ma di certo chiunque bazzica il settore ha esperienza diretta o indiretta di situazioni del genere. Succede, per così dire, ed è successo in ultimo a fine aprile. Con una bella novità, però.
Stanchi di mandare infiniti solleciti per lavori non retribuiti svolti da oltre un anno, mossi dall’antico ideale della solidarietà, una ventina di collaboratori dell’editore-che-non-paga-di-turno hanno interrotto per protesta la presentazione dell’ultimo libro di Bertinotti sulla mancanza di lavoro in Italia (!), edito dal committente incriminato, sciorinando in faccia all’ex sindacalista e fumatore di parole proto-vendoliano la nota – quanto spesso taciuta – solfa della consegna nei tempi rapidi stabiliti, delle scadenze di pagamento promesse nel contratto e della messianica attesa dei soldi, gridata al vento come un’intervista impossibile a Karl Marx. Oltre alla promessa di un incontro ad hoc col rifondatore comunista, i lavoratori hanno ottenuto l’impegno del committente a sanare i vari pendenti, non solo quelli di chi era lì a protestare ma anche di tutti gli altri loro colleghi con cui, forse per non smentirsi, doveva ancora regolare i conti. Avrà maggior valore questa parola, di quella messa nero su bianco nei contratti non rispettati? Lo speriamo.
- Bisogna imparare a rifiutare queste cifre basse. Tu, firmando quel contratto, accetti, legittimi e rendi reiterabile la stortura. Che poi esplode nel mancato pagamento.
- Un contratto è un contratto. Se fissano loro la tariffa, tu provi a negoziare ma niente, e nel frattempo cerchi lavoro per anni e non trovi niente… questo non giustifica il diritto di non pagarti. La stragrande maggioranza degli italiani lavora sotto il minimo sindacale, non implica certo che sia giusto non percepire manco quello.
- C’è sempre un’ultima spiaggia dopo un’ultima spiaggia.
- Sì, l’ultima spiaggia dell’ultima spiaggia consiste in quella tenda sulla Senna, ma non accessoriata. Per il resto, “l’altro si fa”, alle stesse o più ignobili condizioni pure… e sì, forse anche da dilettanti, non potendo certo maturare esperienze co’ sti lavori di un giorno, un mese, un soffio. Bisognerebbe comprendere anche le ragioni di chi è costretto ad accettare tutto: squallide, sbagliate, esclusivamente materiali e controproducenti innanzitutto per chi accetta, perché si accetta a malincuore e non in piena convinzione, né per dedizione ad un sistema marcio e fallato, né, meno che mai, pensando d’essere nel giusto.
- Attenzione, perché se chiediamo troppo poco rischiamo di valere poco. Agli occhi di tutti. Anche di chi ci dovrebbe pagare. Scusi, ma come si mantiene lei? Accettare tariffe basse non ha senso e non ha nemmeno mezza ricaduta positiva. Nemmeno quella di fare curriculum.
- Se si accettano tariffe basse, in questo e contemporaneamente in altri lavori, è per ragioni di sopravvivenza, nella stupida speranza che sommando più lavori e cedendo tutto il proprio tempo libero e non libero, si raggiunga uno stipendio minimo. Non ha mai funzionato, non ne è mai valsa la pena, ed io come tanti altri ne paghiamo già fin troppo le conseguenze. Non credo di dovermi “ripulire la coscienza”, semmai sfoderare le armi, e cominciare a ben distinguere gli amici dai nemici, gli editori dai falsificatori di cambiali, ma la forza viene a mancare di fronte a situazioni reiterate e frustrazioni decennali.
Poi, nella cascata dei commenti, c’è stato questo intervento:
- Il problema non è chi accetta un lavoro a 3 euro a cartella. Il problema è chi lo offre. Per garantire un minimo sindacale chi deve lottare sono anzitutto i più garantiti, anche perché se non lo fanno perderanno anche i loro diritti prima o poi. Le lotte sindacali vinte si sono sempre fondate su questo dato (chi è più forte nei rapporti di forza si deve assumere maggiore responsabilità, ad esempio utilizzando il diritto di sciopero per difendere anche quelle categorie che questo diritto ancora non lo hanno), mentre si è perso e riperso tutte le volte in cui questo dato di coscienza, unità e consapevolezza si perdeva. E se capisco bene che è difficile, in un baretto, convincere gli avventori aditi alla solfa del “ci rubano lavoro” che lottare per i diritti dei lavoratori migranti è lottare anche per i nostri diritti, è stupefacente che la stessa solfa con parole più ricercate venga sostenuta spesso anche da chi due nozioni di storia le ha. Ripeto, il problema non è chi accetta una lavoro a 3 euro a cartella. ll problema è chi lo offre. E se poi neanche si riesce a costringere costoro a pagarli quei 3 euro, intravedo un futuro buio anche per chi ne prende per ora 20 a cartella.
L’interessata, accusata, autrice del post ha infine ringraziato per “la comprensione (del dettaglio e dell’insieme), l’unica consolazione in una polemica così amara”, scattata secondo la logica del “ci sono troppi share, ergo bisogna intervenire”. C’è sicuramente bisogno di lavorare sulla consapevolezza di chi entra (o cerca di entrare) nel mondo del lavoro passando per la cruna di condizioni vergognose. Ma oggi, primo maggio, vogliamo solo esprimere la nostra solidarietà con chi c’è già passato, chi rischia di passarci, chi comprende quanto sia esasperante vivere schivando una truffa e l’altra, contro lo svanire del vero problema.