Primo: gli anziani hanno scarsa propensione all'innovazione, maggiori difficoltà a reggere ritmi di lavoro elevati e limitati capacità e stimoli all'aggiornamento; inoltre, mostrano spesso vari problemi di salute, una vista carente, soprattutto da vicino, una mobilità più problematica. Solo per le assenze per malattia o infortunio si rischia di spendere parecchio, e a ciò si deve aggiungere la perdita virtuale per l'azienda, l'impresa o l'ufficio che non potrà rinnovare i propri lavoratori con la frequenza che i cambiamenti della società e delle abitudini imporrebbero.
Secondo: la nostra ex società del benessere diventa quasi una prigionia, nella quale le scelte di costruirsi un futuro di tranquillità al di fuori del lavoro, che magari è stato il centro della propria esistenza per trentacinque o quarant'anni, vengono meno per le esigenze di non avere un fardello da mantenere per chi ancora lavora; l'esigenza è giusta e comprensibile, ma non è equilibrata, soprattutto per chi ha già più di 50-55 anni e ha iniziato a lavorare presto.
Ora che è passato un po' di tempo, è possibile fare qualche considerazione sulla manovra finanziaria dei professore senza metterci troppo sentimento, ma, prima di tutto, una precisazione: parecchi nostri stimati rappresentanti hanno tuonato: "non ci volevano dei professori, accademici e tecnici per fare questa manovra che penalizza i cittadini!". Abbiate il buon gusto di tacere, voi che non avete saputo tirar fuori un ragno dal buco per anni. Siamo finiti sull'orlo del baratro, con ancora qualche rischio di caderci dentro, a causa di coloro che, per motivi legati ai consensi elettorali della propria parte o area geografica, o a biechi interessi personali, non hanno avuto il coraggio, la capacità e l'interesse di ridurre le spese, mettere tasse su chi le poteva pagare senza grossi contraccolpi, agire seriamente contro l'evasione ed eliminare le agevolazioni esagerate e idiote note come elusione fiscale.
Ora eccoci qui, con un gruppo di personaggi capitanati da uno stimato professore universitario; gli si è chiesto: Mario, ci aiuti a ridare ai mercati fiducia nell'ex Belpaese? E Mario accetta; del resto è ben pagato, ma la sfida lo interessa anche di più. Ma dove dovrebbe prendere i soldi per arrivare al pareggio di bilancio, in un mesetto scarso di lavoro? Niente azioni sconsiderate, niente previsioni speranzose basate su stime di crescita evidentemente gonfie come otri, niente tasse sgradite ai ricchi rappresentati dal PdL, niente asta delle frequenze, ancora sgradite, chissà perché, sempre al PdL; niente evasione, che se tutto va bene ci vogliono anni; niente capitali scudati, che sono ormai in buona parte andati sotto materassi anonimi o sepolti in anonime attività; niente... Insomma, ci resta semplicemente da intervenire dove i soldi si sa quanti sono, per quanto pochini, e si sa che non si possono nascondere né negare: presso i nostri amati lavoratori.
Qual'è la soluzione? Non credo che sia semplice, ma alcune proposte concrete possono essere avanzate. Anzitutto, coloro che, dato il tipo di lavoro, le proprie condizioni fisiche e il contesto in cui si trovano, intendono continuare a lavorare, devono poterlo fare, ed essere incentivati a farlo. Poi, va incoraggiata l'immigrazione della popolazione al di sotto dei 35-40 anni, come fanno in paesi che hanno molti meno problemi del nostro, come Canada e Australia. Noi invece facciamo di tutto per cacciarli o creare loro problemi e ostacoli e non diamo neppure facilmente la cittadinanza ai nati in Italia e ai residenti da molti anni.
Ma la più importante ed efficace è, secondo me, un'azione politica di lungo respiro e termine che incoraggi e incentivi seriamente le nascite, con strutture gratuite e/o convenienti cui affidare i bambini, soprattutto nell'ambito dell'azienda o dell'amministrazione di cui si fa parte; soluzioni creditizie specifiche estremamente agevolate e azioni sulla locazione delle case sfitte e sull'edilizia popolare; implementazione dei contratti di lavoro part-time di durata variabile per uno dei due o entrambi i genitori, ma accompagnati da cospicui contributi alla famiglia e agevolazioni sensibili sia a carico dello stato sia anche delle singole aziende e imprese, che devono vedere come strategica, per quanto a lungo termine e senza immediate ricadute, la scelta di riportare il rapporto tra giovani e anziani in un ambito più sostenibile e naturale; sviluppo della mobilità pubblica e del tempo pieno nelle scuole e nei posti di lavoro; spinta verso la comunione di parte di elettrodomestici e di altri strumenti di uso e importanza familiare (serbatoi per i carburanti da riscaldamento e per l'acqua, impianti di produzione elettrica eolici o fotovoltaici) nell'ambito di condomini e edifici plurifamiliari, riduzione dei costi della raccolta rifiuti con meccanismi che premino comportamenti virtuosi (come riciclo, abbandono dell'usa e getta etc), modulazione di tasse e imposte sulla base di questa esigenza (con meccanismi che aumentino le aliquote per chi non avendo figli non provvede al futuro proprio e dei contemporanei, e per i datori di lavoro che non investono in modo coerente in nidi e iniziative e strutture analoghe per i dipendenti con prole); meccanismi di tutela ancora maggiore per la maternità e la paternità.
Ce n'è di che lavorare per parecchi anni, ma questa è la differenza tra il far politica e il pensare al proprio orticello e navigare a vista, cercando di andare avanti alla giornata come è stato fatto in Italia dagli anni '70-80 a oggi. E anche quei pochi governi che volevano mettere davvero le mani sull'organizzazione dello stato per prima cosa avevano da sistemare i conti nell'immediato e poi non restava più niente. Oggi bisogna fare delle scelte coraggiose anche a prezzo di rinunciare ad alcuni vantaggi momentanei che alcune categorie hanno o c redono di avere. Senza una crescita per prima cosa delle nascite e quindi un miglioramento del rapporto tra giovani e anziani questo Paese è destinato a fallire, e tutti noi con le nostre imprese e il nostro mondo con esso.
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