“La vecchia guardia vuole lo scontro ideologico”. La Cgil: “Discutiamo, ma ora basta con gli insulti”
Il premier: «Difendere l’esistente vuole dire difendere le diseguaglianze». Camusso replica: «Sbaglia, evitare atti di forza». Sindacati spaccati. Bonanni apre a modifiche sull’articolo 18 «Nel Pd c’è chi vuole cogliere la palla al balzo per tornare agli scontri ideologici e magari riportare il Pd del 25%. Noi no». Lapidario, Matteo Renzi. Dopo aver ascoltato per giorni in silenzio le parole di fuoco della minoranza del suo partito, decide di non tacere oltre. E, all’indomani dell’attacco ai sindacati, di fronte all’intera comunità degli iscritti Pd, risponde con durezza alla «vecchia guardia» che gli si è messo di traverso sul lavoro. La resa dei conti ci sarà il 29 settembre: in direzione un voto a maggioranza sancirà la linea sul Jobs act e tutti si dovranno adeguare. Ma la minoranza dem non demorde, prepara la battaglia parlamentare e avverte il premier che sta svoltando a destra.«Chi oggi difende il sistema vigente difende un modello di diseguaglianze. Noi vogliamo difendere i diritti di chi non ha diritti. Quelli di cui nessuno si è occupato fino ad oggi», ribadisce Renzi in una lettera inviata agli iscritti Pd. Ma questa volta non parla solo dei sindacati che lo hanno paragonato alla Thatcher. Si rivolge a chi dal suo stesso partito lo accusa di essere «di destra». A loro spiega che «essere di sinistra significa combattere un’ingiustizia, non conservarla. Davanti a un problema c’è chi trova soluzioni provando a cambiare - rivendica - e chi organizza convegni lasciando le cose come sono». Il riferimento implicito ma chiaro, spiegano i renziani, è alla sinistra Pd che va ancora a braccetto con il sindacato.
Sono settimane che «big» del calibro di Bersani, D’Alema, Cuperlo lo attaccano. Ma adesso è in gioco la tenuta del partito nelle Aule parlamentari e la riuscita di una riforma, quella del lavoro, essenziale per andare a chiedere e ottenere margini di flessibilità in Europa. L’obiettivo è il primo via libera del Senato entro l’8 ottobre. E il segretario-premier decide di andare allo scontro. Rispolvera il vocabolario del rottamatore e dirama la sua dichiarazione di guerra: «Siamo qui per cambiare l’Italia e non accetteremo mai di fare le foglie di fico alla vecchia guardia che a volte ritorna. O almeno ci prova».
Il premier l’ha annunciato davanti alle Camere: di fronte allo stallo non esiterà a usare l’arma del decreto. Ma lunedì 29, al ritorno da una settimana negli Usa, proverà a chiudere il cerchio sulla legge delega, chiedendo al partito unità di fronte al testo del governo e alla linea della maggioranza («Non credo ci saranno fratture, mi sembrerebbe strano opporsi», dice Marianna Madia). I numeri il segretario ce li ha in direzione e, assicurano dal governo, anche in Parlamento, grazie al voto favorevole già annunciato da FI. Ma, spiegano i renziani, il premier non è disposto ad accettare la fronda della minoranza Pd su una riforma così importante. Dunque, al Senato si discuterà la prossima settimana nel gruppo Pd e con gli altri partiti, ma poi il 29 Renzi detterà la linea, in nome di un mandato ricevuto dal 40,8% degli elettori. A loro, ha chiarito, non ha paura di rivolgersi neanche tornando alle urne. Ma certo non li tradira’ cedendo alla «vecchia» linea che riporterebbe il Pd «al 25%».
Non sembra intimorita, però, la «vecchia guardia». Su un tema come il lavoro serve «chiarezza», mentre la delega al governo a riformare lo statuto dei lavoratori, articolo 18 incluso, è troppo ampia. Togliere la reintegra ai nuovi assunti vuol dire, spiega Cesare Damiano, creare lavoratori tutti di «serie B», non portare uguaglianza. E anche il moderato Francesco Boccia afferma che «non si governa con i vaffa» e se va bene cercare di «prendere i voti di destra convincendoli da sinistra, non va bene farlo con politiche di destra».
«Basta inventare nemici per coprire le difficoltà del governo a mantenere, nella legge di Stabilità in arrivo, la valanga di promesse fatte», scandisce Stefano Fassina. E Alfredo D’Attorre: «Mi pare che se c’è qualcuno che cerca lo scontro ideologico quel qualcuno sia proprio Renzi». Lunedì la minoranza Pd lavorerà agli emendamenti al testo e martedì si riunirà per un documento unitario da consegnare al segretario sui temi economici. La resa dei conti avverrà in direzione. Intanto anche Nichi Vendola incalza: «Matteo, ti accingi a realizzare il grande sogno della destra politica ed economica».
Intanto la Cgil invita il premier a parlare ma mentre si cerca di ricucire su un fronte si apre una spaccatura nel sindacato. L’invito al dialogo, arriva tra le righe, o meglio tra i caratteri, di un tweet siglato dalla Cgil: «Basta insulti al sindacato: guardiamoci negli occhi e discutiamone». L’organizzazione guidata da Susanna Camusso sceglie così la stessa via del social network per replicare al premier Matteo Renzi e alle accuse di chi definisce le lotte del sindacato come battaglie del passato. In mattinata la Cgil conia un nuovo hashtag, #fattinonideologia e il riferimento è proprio alle parole di Renzi che ha accusato i sindacati di schierarsi a difesa delle ideologie e non dei problemi concreti della gente. Ma la Cgil è sola nel contrattacco, con la Cisl che si smarca.