Layers of Fear - Recensione

Creato il 16 febbraio 2016 da Lightman

Con una decisa strizzata d'occhio a Edgar Allan Poe, qualche salto sulla sedia molto ben orchestrato e una trama molto ben scritta, gli sviluppatori polacchi di Bloober Team tentano un deciso salto di qualità.

Versione analizzata: Playstation 4

Enrico Spadavecchia è un avido collezionista ed esagitato videogiocatore dai tempi del Commodore 64 e delle sue righe colorate. Ex giocatore accanito di Counter Strike, in giovane età ha compiuto la stupidissima impresa di completare Quake II a livello hard senza scendere mai sotto i 100 punti ferita. Ostinato retrogamer e sostenitore delle produzioni indipendenti, non disdegna le offerte del mercato attuale, soprattutto FPS e avventure grafiche. Lo trovate su Facebook, su Twitter e su Google Plus.

Ritorna la casa di sviluppo indipendente polacca di Bloober Team, tristemente conosciuta per l'esordio sulla current-gen col pessimo Basement Crawl, stavolta con un genere del tutto diverso, dai toni ancora più cupi. Il debutto di Layers of Fear in early access, avvenuto lo scorso agosto, incontrò sin da subito l'entusiasmo degli appassionati del genere, pur senza mostrarsi nella sua interezza. Nel curioso horror in prima persona proposto da Bloober Team vestiamo i panni di un pittore piuttosto quotato, in preda ad un brutto delirio decadente, ormai solo in una lugubre magione, ossessionato da un brutto incidente che ha a che fare con un incendio e da un'infestazione di ratti che esiste solo nella sua mente. Queste le esigue informazioni che si apprendono nei primi minuti di gioco, rovistando fra vecchie ricevute, ritagli di giornale e inquietanti appunti su fogli ingialliti.

Pittore zoppo con pianoforte incatenato e bambolotto impiccato

Per quanto ci si sforzi, è difficile ignorarlo, il teaser giocabile di quel Silent Hills che non vedremo mai, ha lasciato il segno, e del resto gli stessi sviluppatori ne hanno parlato senza troppe remore, in fase di promozione. I semplici corridoi che si distorcono in soffocanti labirinti escheriani infiniti, le ombre sui ballatoi osservate con timore dal piano di sotto, le telefonate raccapriccianti e quella figura femminile che perseguita il giocatore, sembrano così familiari che ci si stupisce di non trovare anche un feto deforme in un lavandino. Eppure Layers of Fear non si limita a scimmiottare l'ottimo lavoro di Kojima, per fortuna, e si concentra sul raccontare una storia angosciante, con una trama un po' stringata ma ottimamente scritta, che si racconta attraverso una serie di indizi alla rinfusa, fra il sospetto di mutilazioni vangoghiane e soffocanti ossessioni anatomiche che in qualche modo ricordano la Berenice di Poe. Per quanto riguarda l'aspetto prettamente ludico, l'horror di Bloober delinea un assetto piuttosto incerto, che oscilla fra il "walking simulator" e l'avventura grafica: non ci sono veri e propri enigmi, ma solo una ricerca frenetica delle tracce lasciate dal passato tormentato dell'artista, e dei macabri 'colori' indispensabili perchè possa realizzare il suo grande capolavoro. Benchè l'architettura cangiante e le distorte visioni del protagonista possano trarre in inganno, il gioco è ben impostato su una struttura estremamente schematica e lineare, che concede al giocatore davvero poche libertà: il gameplay si limita, di volta in volta, a metterci di fronte a nuove stanze o corridoi, tormentandoci con una dose sempre crescente di jumpscare, finchè non si interagisce con l'oggetto giusto, o non si trova il 'pezzo' necessario per procedere con la realizzazione del dipinto, per poi rispedirci nella stanza in cui è custodita la suddetta opera incompiuta.

Terrorizzare profondamente non è un compito facile di questi tempi, e, sebbene gli sviluppatori polacchi ce la mettano tutta, cadono in più occasioni nell'errore di riutilizzare stilemi già triti e ritriti e facili soluzioni da B-movie. Sebbene non manchino, soprattutto sulle prime battute, momenti di pura tensione che culminano in meritatissimi salti dalla poltrona, Layers of Fear si perde ben presto in un sovraffollamento di quadri cangianti, suppellettili volanti, apparizioni improvvise e giocattoli impazziti, passando per eventi semplicemente scriptati male, tanto da svolgersi fuori dall'inquadratura, culminando in un endgame difficilmente godibile da un giocatore ormai immune ai facili jumpscare.

Lo stuttering dell'artista

Se Layers of Fear è un'avventura tutto sommato più che godibile è certamente merito dell'ottimo level design, che mescola sapientemente il claustrofobico con l'agorafobico, costringendo il giocatore in corridoi estremamente angusti per poi proiettare inquietanti spazi infiniti dall'architettura impossibile e loop spaziotemporali davvero angoscianti.

Lo spazio circostante muta costantemente quando non lo si inquadra, in una soluzione già adottata in passato ma mai in modo così efficace e in grado di rendere al meglio gli effetti dello squilibrio mentale. Se da un lato i possessori di PS4 possono godere della presenza di un altoparlante installato nel gamepad, dal quale proverranno alcuni dei suoni sinistri che costituiscono il grosso dell'atmosfera di Layers of Fear, non potranno ritenersi altrettanto fortunati per quanto riguarda la resa grafica: fin dai primi minuti di gioco non sarà facile chiudere un occhio sui frequenti cali di framerate come già fatto per un aliasing piuttosto evidente; il problema, indubbiamente appesantito dal continuo caricamento delle nuove zone da esplorare, si fa piuttosto grave solo in alcuni tratti del gioco, per fortuna, in cui l'alto numero di elementi a schermo finisce per causare veri e propri rallentamenti. Discorso totalmente differente per quanto riguarda il comparto sonoro, forte di un'ottima campionatura di effetti, un efficace voice acting e di una imponente quanto suggestiva colonna sonora in cui le note ovattate del pianoforte sostituiscono uno scontato stridere di archi. Nonostante i suoi difetti, Layers of Fear riesce nell'intento di raccontare con stile una storia horror indubbiamente interessante, seppur breve, che viaggia attraverso diversi gradi di morbosità, sui tortuosi binari tracciati da un dramma personale mai elaborato. Sul finale il sovrannaturale svanisce -o forse no- in un dubbio lampo di lucidità, lasciando poche inquietudini impresse ma dipingendo uno dei più suggestivi quadri decadenti mai visti in un videogame.

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