A prima vista il tema, scottante e drammatico, dell’amore incestuoso tra due fratelli gemelli poteva rappresentare un’idea interessante dal punto di vista narrativo per vivacizzare il panorama letterario odierno ancora carico dell’abbuffata erotica che ha invaso gli scaffali delle librerie negli ultimi mesi.
In realtà, a mio modesto avviso, il libro è pessimo.
La storia non regge: due gemelli separati poco dopo la nascita perché la madre decide di andar via di casa portando con sé la bambina, mentre il padre insiste per avere il maschio… quasi diciotto anni di lontanza e poi, guarda un pò, la famiglia prova a ricostituirsi (sorvoliamo sui tentativi penosi messi in atto dai due “parents”, come vengono identificati nel libro).
Narrazione ingarbugliata, con una sintassi che strizza l’occhio al povero Shakespeare senza disdegnare qualche “gulp”, “stra-gulp” , “Uh”, “Gasp”, disseminati qua e là, così, tanto per ricordarci che: 1) si parla di adolescenti; 2) la “scrittrice” è un’adolescente.
Giovanni e Selvaggia, già definiti dal marketing becero di settore i “Romeo e Giulietta del XXI secolo”, si muovono sullo sfondo delle vie di Verona scambiandosi languide e appassionate dichiarazioni d’amore palesemente anacronistiche e del tutto fuori luogo in bocca a dei tardi adolescenti di oggi. Assolutamente non credibile. Così come il finale.
L’unica nota realistica del romanzo (?) risiede nel profondo divario e nella drammatica incomunicabilità tra adulti e adolescenti.
Non c’era bisogno, però, di rifare il verso al Bardo per affrontare ancora questo tema e, soprattutto, non era fondamentale solleticare palati pruriginosi con la boiata dell’amore incestuoso, il quale, peraltro, sarebbe stato molto più credibile e angosciante se i due si fossero amati senza conoscere il loro grado di parentela.