In Piemonte il 90% della produzione di mele è concentrata nella fascia pedemontana tra Torino e Cuneo. Tra le aree più vocate, i territori di Verzuolo nel Saluzzese e Cavour, il cui caratteristico borgo, sovrastato dalla Rocca, imponente masso granitico affiorante dalla piana, trasuda memorie storiche (qui si stipulò nel 1561 la Pace di Cavour tra delegati valdesi e duca di Savoia, mentre nella cripta dell’abbazia di Santa Maria si conserva il più antico altare del Piemonte, formato da tre basi sovrapposte di colonne romane).
Già i cartari dell’abbazia di Staffarda citano il possedimento di Pomarolo, presso Verzuolo, dove i Cistercensi coltivavano piante da frutto, soprattutto mele. Per l’uomo medievale il melo è pianta nefasta, l’albero del frutto proibito, perché è nel nome che risiede l’essenza delle cose e il termine latino malus, che significa melo, ma anche malvagio, è segno della sua natura diabolica. Questo, tuttavia, non impedì a monaci e contadini di apprezzarne i frutti.
Le varietà oggi più coltivate sono la rossa Red Delicious e la gialla Golden Delicious, importate negli anni Venti del Novecento dall’America, oggi note con nomi legati al territorio, Rossa di Cuneo e Gialla del Piemonte, la neozelandese Gala e la giapponese Fuji, introdotte negli anni Novanta. L’omogeneizzazione dei mercati che dagli anni 80 del Novecento ridusse le varietà di mele in commercio non cancellò le antiche cultivar piemontesi, oggi in numero di circa 500 e in fase di riscoperta.
Fu nell’Alto Medioevo che, grazie ai monaci, la cura per le piante da frutto si diffuse in Piemonte, con alberi sparsi nei campi, ma che si infittivano attorno alle abitazioni. Dal XIII secolo comparve nelle pianure l’alteno, sistema di allevamento della vite che prevedeva la crescita dei tralci delle piante, disposte in filari (con spazio interno riservato ai cereali), ad una certa altezza dal terreno. I tralci erano in origine appoggiati a tutori vivi, olmi, frassini, ma anche piante da frutto come i meli.
Il Settecento fu il secolo delle innovazioni tecniche. Nel 1729 si fondò a Torino l’Orto Botanico dell’Università, mentre l’Accademia di Agricoltura avviò dal 1790 le pubblicazioni annuali del Calendario Georgico. Nel 1822 si inaugurò in San Salvario il vivaio dei fratelli Burdin di Chambéry, che introdusse in Piemonte pregiate varietà di frutta, mentre dalla metà dell’Ottocento, per istruire i contadini, si crearono Comizi Agrari e Cattedre ambulanti.
Fu però la fillossera, flagello della vite, ad ampliare gli spazi della frutticoltura in Piemonte, favorendo la specializzazione. Il primo esperimento in tal senso risale al 1885/6 nel Roero dove si sostituirono con frutteti le vigne falcidiate dalla malattia.
L’attenzione odierna per la biodiversità ha riportato alla ribalta le antiche varietà di mele piemontesi, come le mele rugginose, con il tipico strato suberificato che riveste la buccia, ruvida al tatto, carattere che si rispecchia nei nomi delle singole varietà, accompagnati da Gris o Rusnent. E’ il caso della Grigia di Torriana, ideale per la cottura in forno, coltivata un tempo nell’area di Barge, poi diffusa a Bagnolo e Cavour.
Altro raggruppamento è quello delle Calville, originarie di Calleville in Alta Normandia, tra cui la Calville Rouge d’été e la Calville Rouge Sanguinola, provenienti dai vivai Burdin e presenti nella collezione del Museo della frutta di Torino, che espone oltre mille esemplari riprodotti con tecnica originale da Garnier Valletti, maestro della pomologia artificiale.
Alla famiglia delle Renette, dal francese reinette, reginetta, appartiene la Renetta grigia francese, adatta sia al consumo fresco che al trasformato (cotta, sidro) e che in Piemonte cresceva “bella, grossa, squisita, come a Parigi” (Gallesio), e le varietà chiamate Ravè dalla forma appiattita del frutto, simile ad una rava (rapa), e Carpendu, dal francese Court Pendu, per via del peduncolo corto.
Vari i criteri di scelta dei nomi varietali: il proprietario della pianta numero uno (Dominici, Ross Tomasin), la località d’origine (Bella di Barge), le qualità del frutto (Ciocarin-a, a forma di campana, Verdun, dalla buccia verde, Bianc Brusc, dal sapore acidulo) o una sua particolare attitudine. A quest’ultimo caso si riconducono le varietà Gris d’la Compòsta, Pom d’la Compòsta, Rusnent compòsta, che a fine inverno venivano immerse in recipienti colmi d’acqua, ricoperti con sacchi di tela o paglia, e fatte fermentare sino a tarda primavera, quando i Pom en Compòsta erano pronti per il consumo, frizzanti, dissetanti.
Tra le specialità a base di mele, ricordiamo le frittelle dolci di mele e l’antica usanza del Vin ëd Pom, bevanda alcolica sostitutiva del vino ottenuta dalla fermentazione delle mele di scarto, già frantumate e spremute in torchio, insieme con le vinacce. L’azienda Ciabot di Baldichieri ricava il suo Vin ëd Pom dalla rifermentazione su vinacce di Barbera del sidro, risultato dalla macerazione e fermentazione di mele antiche piemontesi come Marcun, Runsè, Carpendu, Buras.
Paolo Barosso