Erede dell'Eiar mussoliniana, l'ente televisivo pubblico, rimasto a lungo monopolista esclusivo del servizio televisivo e radiofonico, non si è mai scrollato da dosso la sua natura di ente al servizio del regime, sia pur divenuto democratico e fino al 1995 , anno del solito referendum popolare disatteso, che avrebbe dovuto permettere la privatizzazione dell'ente ma che rimase lettera morta.
Fino al 1975 il canale unico e in bianco e nero della Rai era rimasto nella disponibilità del solo partito di maggioranza relativa, la Democrazia Cristiana, che lo usò per diffondere la sua paciosa visione del mondo, con uno stile paternalistico e didascalico, non mancando per la verità di offrire un reale servizio pubblico e culturale, offrendo, oltre ad una informazione addomesticata e parziale, anche programmi volti ad accrescere le conoscenze di un popolo italiano ancora in gran parte illetterato e spesso incapace di esprimersi ed intendere la stessa lingua nazionale.
Celebre fu, in questo senso, il programma "Non è mai troppo tardi", condotto dal maestro Alberto Manzi, ma anche una nutrita produzione di sceneggiati televisivi originali che portarono sullo schermo i classici della letteratura italiana e internazionale, senza dimenticare le opere liriche, i balletti e le rappresentazioni di commedie e tragedie teatrali: in poche parole, tutto quello che lo spettatore si aspetterebbe da un ente radiotelevisivo pubblico.
Con il progredire della tecnologia e la diffusione sempre più capillare dei televisori nelle case degli italiani, i canali Rai aumentarono di numero e aumentarono anche l'offerta e la domanda di nuovi prodotti televisivi e, di converso, anche le mutate condizioni socio culturali e politiche del Paese spinsero per una riforma dell'ente, che si aprì all'influenza di tutti i partiti politici presenti in parlamento, in ossequio alla logica della "lottizzazione" politica tanto in voga in quegli anni (e in fondo mai cessata); tanto di moda da essere istituzionalizzata nel famoso "Manuale Cencelli".
La riforma del 1975 sancì così la spartizione dei tre canali televisivi della Rai, oltre naturalmente a quelli radiofonici, soprattutto tra i tre partiti più grandi, confermando l'influenza della Dc sulla rete 1, affidando invece la seconda al Psi e la terza al Pci. Un equilibrio che, fatte le debite considerazioni sulla scomparsa di Dc e Psi, sostituite dall'attuale Pdl, dura ancora oggi.
Fu proprio la terza rete la novità più sorprendente, perché portò in televisione per la prima volta un tipo di informazione che fino ad allora era rimastra prerogativa di giornali come l'Unità e il Paese Sera, o delle piccole emittenti locali. Non a caso i giornalisti che finirono ad animare le redazioni della terza rete furono tutti o quasi reclutati in quelle sedi.
Da allora abbiamo una realtà evidente e nemmeno sottaciuta: ogni canale della Rai, con il suo telegiornale, risponde ad un suo editore di riferimento, che è un partito politico ben preciso.
In somma: la RaiTv non è la BBC, ma questo dovrebbe essere ben noto a tutti da tempo.
In particolare il Tg della prima rete è istituzionalmente filo governativo, da sempre, essendo il suo direttore direttamete o indirettamente nominato dal presidente del consiglio in carica.
Non dovrebbe pertanto sorprendere se il suo taglio informativo guardi con comprensione alle vicende del governo e della maggioranza che lo sostiene, ma nonostante questo le polemiche non sono mai mancate e sono addirittura esplose con la direzione dell'ultimo designato al compito, Augusto Minzolini, esperto e ben noto giornalista, già notista politico del Corriere della Sera.
La direzione del Tg da parte di Minzolini sarebbe troppo partigiana (a questo punto sarebbe bello che qualcuno ci spiegasse qual'è il limite di partigianeria da non superare per non essere "troppo" partigiano) e lo stesso direttore è ormai da mesi sottoposto a tutta una serie di attacchi da parte di suoi colleghi, quelli che stanno sempre dalla parte giusta e non tollerano critiche dai mitomani della rete: quelli della meglio gioventù siamo noi e basta, per essere chiari.
Quello che non si riesce ben a capire è anche perché il Tg1 debba essere obiettivo e imparziale se tutti gli altri telegiornali della Rai, per non parlare delle cosiddette trasmissioni di approfondimento e quelle di intrattenimento, non lo sono?
La risposta più semplice sarebbe che essendo il Tg1 il più visto e quello ritenuto più autorevole sarebbe pure auspicabile che tenesse un comportamento più sobrio e contenuto rispetto agli altri, ma in realtà la folta platea dei critici di Minzolini sostiene, non so con quanta reale convinzione che gli altri Tg della Rai, ma segnatamente quello della terza rete, fa un'informazione oggettiva e imparziale, nella quale i fatti e le opinioni sono nettamente divise e facilmente identificabili.
Una lettura dei fatti che sembrerebbe essere un dogma per i fedeli seguaci dei cultori dell'informazione libera e indipendente. Un dogma talmente fuori da qualsiasi discussione che la dichiarazione dell'attuale Presidente della Rai Paolo Garimberti che ha ammesso che la faziosità del Tg1 non è solitaria, ma che esistono "problemi" anche al Tg3 ha prima stupefatto i fedeli e poi li ha fatti sollevare tutti insieme al grido di "Garimberti venduto al Banana".
La prima a sollevarsi è stata la stessa direttore del Tg3 Bianca Berlinguer, che si è definita "sconcertata" per le critiche.
Ma Donna Bianca è stata subito soccorsa da amorevoli colleghi e dal pubblico dei fedeli, che non hanno perso occasione di elevare la figlia di Enrico berlinguer a nuova eroina e martire del berlusconismo, non ancora a candidarla per la guida del governo, ma per quello c'è tempo, anche perché la figlia di cotanto padre non sarebbe neanche da considerare una Papessa straniera.
A questo punto c'è veramente da chiedersi perché a Garimberti, uno che è stato per anni un giornalista di punta de La Repubblica, mica de Il Giornale, gli sia passato per la testa di avventurarsi in simili giudizi e cacciarsi in una polemica dalla quale può uscire solo coperto da contumelie e solo con una completa ritrattazione di quanto detto e offrendosi pure di fare da valletto all'intoccabile nobildonna sassarese per almeno sei mesi.
Possibile che un uomo di esperienza come Garimberti possa cadere in simili errori, per di più proprio quando la stella del cavaliere che dovrebbe, secondo i suoi critici, comprarlo sembra sempre più fioca?
O forse sarà che a volte, magari senza volere, quello che si pensa veramente sale alla bocca senza volerlo?
Quello che è certo è che alla RaiTv non cambierà nulla ancora per molto tempo e per molto tempo ancora saranno in tanti a polemizzare sul concetto di "servizio pubblico", anche se Michele Santoro ci dovrebbe spiegare presto tutti i sui aspetti più reconditi.
Nell'attesa agli italiani non rmane che pagare il canone, che non è la tassa per pagare i programmi della Rai, ma solo quella sul possesso del televisore, sia ben chiaro.