Le basi di partenza delle incursioni barbaresche (porti, isole e nascondigli)

Creato il 02 novembre 2010 da Cultura Salentina

di Vincenzo Scarpello

Galea turca

Le rotte della corsa si basavano principalmente su due direttrici, la tirrenica e la greca. La tirrenica fu la più inflazionata, dato che vi insistevano le rotte commerciali di Spagna, di Firenze e dello Stato Pontificio.

Le coste dell’Adriatico settentrionale vennero lasciate in pace dalle incursioni barbaresche non in quanto non costituissero una preda appetibile, ma in relazione al fatto che la guardia di Venezia venne mantenuta sempre altissima e anzi le poche incursioni che coinvolsero quelle coste avvennero quando i rapporti della Serenissima con gli Stati dell’Italia centro-meridionale erano tesi o addirittura di scontro, avendo la Repubblica allentato volutamente il controllo.

Ragion per cui sovente tali rotte venivano battute più o meno frequentemente dai corsari a seconda del mutamento degli equilibri diplomatici che vigevano in un determinato periodo. Le coste dell’africa settentrionale costituivano un naturale rifugio per le unità dei pirati, composte da teorie di insenature e di piccole baie nelle quali le navi potevano trovare agevole asilo. Con il trascorrere del tempo e con l’insediamento delle reggenze barbaresche le capitali degli stati nordafricani assunsero la fisionomia di vere e proprie roccheforti corsare, in particolare Algeri e Tunisi.

La composizione urbanistica di tali città rispondeva a un ordine prestabilito abbastanza uniforme che vedeva naturalmente arsenali e cantieri posti sulle rive del mare, di poco staccate dai porti. L’impianto generale rispecchiava quello “concentrico” delle cittadelle medievali, con il loro intricato reticolo di viuzze strette nelle quali la difesa sarebbe stata più agevole. Al centro delle Città si trovavano i bagni penali, il cui posizionamento non era casuale, anzi rispondendo all’esigenza di rendere quanto più difficile la fuga a quanti, rischiando la vita, tentassero un’improbabile fuga.

Nelle zone vicine alle mura si trovavano i luoghi di culto, mentre in genere la casbah costituiva una propaggine a sé, ben protetta dalle cinta murarie che assicuravano da terra efficacissima tutela da eventuali assalti. Riguardo a queste i rimaneggiamenti e l’opera fortificatoria dei valentissimi architetti ottomani, facevano sì che, pur mantenendo l’antico impianto, tali città rispondessero di volta in volta alle nuove esigenze dell’orceometria. Riguardo alle capitali barbaresche, gli stati cristiani adottarono a livello urbanistico anche contromisure efficaci, prima tra tutte la costruzioni di forti che ne dominassero i porti.

Galea

Ciò certo non scoraggiò la corsa, che mutò le basi di partenza nelle diverse calette vicine. La più imponente opera di fortificazione allestita dagli Spagnoli in funzione anticorsara fu senza ombra di dubbio l’imponente fortilizio del Peňon, che dominava l’intera baia di Tunisi e costituiva una vera e propria spina nel fianco ad ogni velleità barbaresca di riprendere la corsa. Una volta riconquistate, tali fortezze potevano essere utilizzate dai corsari come avamposti strategici in funzione di una difesa in profondità delle loro capitali. Ovviamente le basi  del Nordafrica non erano gli unici punti di appoggio per i barbareschi. Essi si servivano anche di baie e calette nelle isolette del mediterraneo, oltre ad utilizzare luoghi nascosti della penisola italiana dove si faceva la cosiddetta acquata, l’approvvigionamento di viveri e soprattutto di acqua, dato che i navigli dovevano trasportare il minor carico possibile, per poter superare in velocità le navi commerciali dei cristiani.

Generalmente le isole maggiori del mediterraneo, Sardegna, Corsica, Baleari fungevano da tappe obbligate perché potessero essere compiute incursioni soprattutto ai danni di Liguria e Spagna, sebbene si preferissero gli arcipelaghi vicini. Ma soprattutto le piccole isole, come ad esempio quella di Ustica, costituivano l’ideale base d’appoggio per le incursioni barbaresche, in quanto provviste di fonti dove effettuare l’acquata, ed essendo strategicamente ben strutturate, in quanto disabitate ed estremamente isolate. Nel 1700 si cercò di ovviare a questa disagevole e pericolosa condizione, inviando in queste isolette dei nuclei di popolazione, ma ben presto questi furono oggetto di feroci scorrerie di rappresaglia.