Le basi neurali della memoria di lavoro visuo-spaziale

Da Psychomer
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Matteo Radavelli
giugno 13, 2010Posted in: psicologia L’analisi delle basi neurali ricopre un ruolo rilevante nello studio della memoria, dagli studi condotti sui primati (Ungerleider e Mishkin, 1982) è emersa l’esistenza di due vie anatomico funzionali separate: la dorsale (where) che elabora movimenti e informazioni spaziali e la ventrale (what) che analizza la forma degli oggetti e le loro caratteristiche percettive. Entrambe si originano nella retina e arrivano alle aree visive striate ed extre-striate. Anche per quanto riguarda gli esseri umani ci sono diversi circuiti cerebrali che mediano l’elaborazione d’informazioni nelle prove di memoria di lavoro. Baker, Chabris e Kosslyn (1999) hanno postulato l’esistenza all’interno della via dorsale, di due sottosistemi:
- codifica relazioni spaziali di tipo categorico riferite all’orientamento e alla posizione di un oggetto rispetto ad un altro. Risiede nell’emisfero sinistro.
- elabora relazioni spaziali coordinate, cioè le coordiante metriche di un oggetto. Risiede nell’emisfero destro.
Studi sullo sviluppo hanno dimostrato come la memoria di lavoro si incrementa dall’infazia all’adolescenza sino ad arrivare all’età adulta. Zald 1998 ha spiegato come la memoria di lavoro spaziale abbia un incremento sostanziale tra i 14 ed i 20 anni, con un significativo miglioramento nell’accuratezza e nel tempo di reazione. Thomas (1999) ha messo a confronto l’attivazione cerebrale di sei bambini con quella di sei adulti individuando un’attività nel giro frontale destro superiore, nella corteccia dorsolaterale prefrontale destra, nel lobo parietale destro superiore e bilateralmente nella corteccia parietale inferiore. Nonostante la comune attivazione, in entrambi i gruppi di soggetti è difficile determinare con precisione i cambiamenti delle funzioni cerebrali durante lo sviluppo in quanto manca un’informazione di tipo quantitativo, che permetta una migliore comprensione. Ciò che si sa con certezza, soprattutto grazie all’utilizzo della neuroimaging, è che il cervello adulto presenta aree di attivazione nelle regioni prefrontali e parietali, che comprendono: la corteccia prefrontale dorsolaterale, la corteccia prefrontale ventrolaterale, la corteccia premotoria e la corteccia parietale posteriore destra.
Un’interessante studio sullo sviluppo delle memoria di lavoro visuo spaziale è stato condotto da Kwon, Reiss e Menon (2002). Gli autori sono partiti dall’ipotesi secondo la quale, visto la correlazione tra la corteccia parietale e prefrontale con la memoria di lavoro, queste dovrebbero presentare livelli via via sempre maggiori con l’aumentare dell’età. Il loro studio, comprendente 34 soggetti suddivisi in tre fasce d’età (bambini, adolescenti e adulti)e la fMRI come strumento di indagine. I risultati dimostrano un incremento bilaterale significativo dell’attivazione sia nella corteccia parietale posteriore, sia nella corteccia prefrontale. In particolare hanno individuato un aumento lineare bilateralmente nella corteccia prefrontale dorsolaterale, nella regione posteriore sinistra della corteccia prefrontale ventro-laterale, nella corteccia premotoria sinistra e bilateralmente nella corteccia parietale posteriore. Un importante evidenza, mostrata dallo studio comportamentale, ha dimostrato che la ricodifica verbale dell’informazione visuo-spaziale inizia a svilupparsi intorno ai 7\8 anni e continua durante l’adolescenza; lo sviluppo della memoria di lavoro visuo-spaziale nei bambini è significativamente correlato con l’utilizzo di strategie di codifica fonologica e come durante compiti visuo-spaziali c’è un’attivazione molto lateralizzata nell’emisfero di destra nella corteccia prefrontale dorsolaterale. In letteratura, un modo per evidenziare gli aspetti neuropsicologici è quello di ricercare delle dissociazioni tra le prove visive e quelle spaziali. A questo proposito la deprivazione visiva offre un ottimo esempio della divisione tra le due componenti; infatti, in prove di orientamento spaziale, è stato dimostrato come i soggetti, nonostante la deprivazione impedisse l’acquisizione di informazioni visive, fossero in grado di orientarsi spazialmente. Questo dimostra chiaramente la dissociazione tra le capacità visive e quelle spaziali. Klauer e Zaho (2004) hanno studiato l’esistenza di una doppia dissociazione tra due sistemi di memoria visuo-spaziale. L’esperimento è costituito da due compiti principali e due interferenti (spaziali e visivi):
- Spaziale: indicare la posizione, su una griglia di otto punti, del punto mostrato precedentemente (principale). Individuare in 5 secondi l’asterisco stazionario in un insieme di asterischi in movimento (secondario).
- Visivo: riconoscere un ideogramma precedentemente mostrato in un insieme di otto (principale). Valutare la cromatura (più rossa o più blu) dello schermo (secondario).
I risultati hanno mostrato una costanza della doppia dissociazione sia al variare delle caratteristiche del compito principale sia di quelle dei compiti secondari.
Riassumendo possiamo quindi dire che la memoria spaziale è lateralizzata a destra, mentre quella visiva a sinistra. Questa lateralizzazione è più quantitativa che qualitativa e rappresentata, a seconda del compito richiesto, in zone precise delle regioni principalmente coinvolte: aree infero-temporali per la memoria visiva e regioni occipitali e infero-frontali per la memoria spaziale.

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Matteo: ciao, sono laureato in Psicologia Clinica e Neuropsicologia. Attualmente vivo e lavoro a Milano. Puoi vedere il mio profilo completo nella pagina "chi siamo" o contattarmi personalmente: Email: matteo.radavelli@yahoo.it Sito personale: www.psicologomonzaebrianza.it

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